Ema, MI sembra singolare ritenere che un autore non possa essere mai un buon interprete di sé stesso. Contando che Mozart suonava di persona tutto ciò che per piano componeva chissà a che orrore di esecuzioni avranno assistito i suoi contemporanei! Di certo lui non doveva saperne nulla di quello che voleva esprimere con le sue composizioni!
Poi certo Mozart non si poneva il problema dei posteri. Ma certo non scriveva per sé e non eseguiva diversamente da quello che facevano tutti gli uomini del suo tempo. E gli uomini del suo tempo scrivevano ed eseguivano in maniera molto diversa da come scriviamo ed eseguimo noi, come verrò presto a dirti. Ma per esempio quando Mozart arrangia per il Barone von Svieten le composizioni di Bach da suonare nei suoi ricevimenti di certo non si pone il problema della fedeltà al testo nei termini in cui ce lo poniamo noi
. Come non se lo poneva di certo nessuno alla sua epoca. Loro se lo ponevano nel termine di fedeltà allo spirito del testo, all'espressione, all'effetto; noi ce lo poniamo nel senso di fedeltà alla lettera, allo scritto.
Non entro poi nel merito delle tue risposte: io non mi spiego probabilmente. Ad esempio quando io accomuno la Uchida a Pollini lo faccio per approccio stilistico, che appunto è per entrambi neoclassico, non per valore pianistico. Ma sembra che non riesca a esprimerlo chiaramente. Pazienza. Ma che tu dica che Pollini si adegua alla filologia perché scimmiotta qui e lì il suono del fortepiano, amico mio, mentre Horowitz ne è lontano, perdonami, mi fa intendere che tu a certe questioni non hai evidentemente finora prestato interesse. Pollini stesso interrogato direttamente ha più volte detto che per lui ogni approccio filologico al testo è privo di senso, altro che adeguarsi. Ed infatti a mio parere non s'adegua per nulla. In quanto a Badura Skoda, credo che se tu lo sentissi oggi in Haydn sobbalzeresti sulla poltrona, amico mio, altro che Pollini!!!! E poi guarda che c'è stato altro dopo Badura Skoda!
Comunque abbi pazienza mi sembra semplicistico dire che "
Suonare Mozart con strumenti originali, sonorità «corte» e nervose, articolazioni taglienti e incisive, per non dire dei tempi rapidissimi: questa la "scoperta" della filologia". Questo non è affatto vero: anche in filologia (come in ogni scuola interpretativa che si rispetti) ci sono musicisti migliori e musicisti peggiori. Basta aver voglia di conoscerli...
Aldilà del tuo concetto di anarchia, e di quello che ti piace o meno, la filologia per il seicento ed il settecento dice che:
1. L'indicazione di tempo prevista dall'autore ed indicata in partitura è solo una indicazione di massima, rispetto cui ogni interprete dell'epoca sentiva la massima autonomia. Stava poi al gusto personale non stravolgere il senso espressivo della partitura;
2. Non esisteva alcuna coerenza agogica e ritmica all'interno dell'esecuzione della pagina, anzi i tempi venivano allargati o stretti con continui rallentando ed accelerando a fini espressivi, indipendentemente da quanto segnato in partitura dall'autore. Autore che in genere non segnava nulla o molto poco in merito sulla partitura, perché si attendeva che fosse l'interprete ad agire come meglio riteneva;
3. Ogni qualvolta si ripeta una sezione della composizione, un ritornello, occorre ripeterla variata, o nell'agogica, o nei colori, o meglio ancora testualmente (variazioni vere e proprie), perché l'autore non inseriva variazioni non perché riteneva non fossero necessarie, ma perché sapeva che le avrebbe introdotte l'esecutore sulla base delle sue capacità e del suo gusto;
4. Le indicazioni di dinamica nel testo sono indicazioni di massima, perché nessun autore aveva nella sua testa la necessità di differenziare il F dal FF dal FFF o il p dal pp o dal ppp. Queste erano cose che spettavano all'interprete sulla base delle sue capacità, dell'ambiente in cui suonava, dello strumento che suonava (giacché stupirà sapere, ma il volume ed il timbro di un Broadwood del 1780 sono molto diversi da quelli di un Walter della stessa epoca!)
5. Il temperamento equanime non era praticato nel settecento ed una indagine approfondita sul suono praticato all'epoca richiederebbe l'uso di un buon temperamento più che l'uso di un temperamento equanime.
Questo dice la filologia, detto in soldoni (per inciso: Pollini di queste regole non ne rispetta una, l'ultimo Horowitz ne rispetta molte, forse senza nemmeno rendersene conto). A noi può piacere o non piacere. A te non piace, prendo atto. Ma della filologia non è ragionevole prendere quello che ci piace e buttare alle ortiche tutto quello che ci sta scomodo. Tenersi gli strumenti antichi e buttar via la prassi. La prassi d'epoca ha permesso di recuperare dall'oblìo autori barocchi e repertori come l'Handel operistico, che dal neoclassicismo era stato buttato alle ortiche. Recuperare nel senso di dare un valore artistico, valore artistico riconosciuto non solo dalla critica (poca cosa) ma dal pubblico di tutti i paesi occidentali. E se una esecuzione svela un valore artistico, abbiate pazienza ma io credo proprio si possa parlare di interpretazione migliore. ED in questo repertorio il neoclassicismo ha fallito miseramente.
Voii potete al contrario ritenere che la "retta via" sia quella novecentesca, neoclassica, alla Pollini, alla Uchida, alla Brendel. Quella che al centesimo misura ogni indicazione del testo, testo che assume per voi valore quasi sacro, mitico. Infatti non importa più cosa gli studi storici ci dicono essere stato, importa solo il rispetto micormetrico sel Sacro testo. Siete liberi di credere che questa sia l'unica strada possibile dell'interpretazione. Ma per favore non parliamo di fedeltà al compositore o al testo. Parliamo di gusto nostro e della nostra epoca. O meglio di gusto nostro, che vi stupirà sapere la nostra epoca ha cambiato rotta già da un pò di anni.
Ultima modifica di Pazzoperilpianoforte il Dom Nov 21 2010, 18:02 - modificato 6 volte.