In quest'ultimo periodo, all'interno del riscolto in ordine cronologico dell'opera di Beethoven, ho avuto modo di riascoltare i sei quartetti dell'opera 18, in tutte le edizioni che posseggo, che sono le seguenti:
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Ascoltare dopo tanti anni tutti questi dischi, in confronto diretto, ha messo ben in rilievo alcuni aspetti delle scuole interpretative cui hanno fatto riferimento nel tempo questi artisti.
Le più antiche registrazioni (Amadeus Quartett, Quartetto Italiano, Alban Berg Quartet) risentono fortemente della necessità della scuola neoclassica di accentuare l'unitarietà dell'opera d'arte a scapito della varietà, o comunque della frammentazione legata alla valorizzazione del singolo movimento o della singola soluzione espressiva. L'Amadeus Quartett raffigura musicalmente l'immagine più tradizionale della fortuna beethoveniana nel romanticismo: il Ludwig sempre ombroso, sempre accigliato, sempre mordente, sempre furioso, quando comico con un certo non so che di burbero, quando lirico sempre con sfumature drammatiche. Si tratta di una traslazione in estetica musicale di certi ritratti in cui lo vediamo scarmigliato, sguardo torvo e penetrante, rude, sbrigativo. In alcuni casi questo tipo di lettura dà effetti sorprendenti, come ad esempio nei primi due movimenti del primo quartetto dell'opera 18, che eseguiti così come li esegue l'Amadeus ti lasciano travolto, col fiato sospeso, dall'inizio alla fine: un'unica arcata di fiato con suoni sempre modenti, fulgidi, nitidi, ficcanti, drammaticissimi. Altre volte questa sorta di monocromaticità espressiva fa desiderare del vero lirismo, che non è certo assente in Beethoven che ricordiamolo, oltre a preannunciare romanticismo, pintillismo, jazz ed altro preannunciò anche Schubert, e certo clima idillico, non proprio in sparuti punti della su aproduzione, anche pianistica. Aspetto dell'espressione beethoveniana che nelle interpretazioni dell'Amadeus un pò latita. Ad onore dell'Amadeus, invece, la sagacia con cui sostengono anche il quarto quartetto di quest'opera, il più debole del gruppo, con una convinzione ed un mordente, grazie anche a tempi sempre stringati, senza sdilinquimenti, veramente ammirevoli. Peccato che l'Amadeus sia asservito da un riversamento DG non proprio stratosferico, con i violini che a tratti rasentano il suono di quello strumento meridionale a fiato ottenuto con la carta velina posta su un pettine....
Degna controparte dell'Amadeus è il Quartetto Italiano. Anch'essi volti all'unitarietà più che al caratteristico, ma tendenti ad analizzare l'opera di Beethoven in termini soprattutto di timbri, di colore, di sfumature. Con il rischio, qui e lì, di apparire privi di mordente, come nei primi due movimenti dei primi due quartetti. Splendidi invece, per morbidezza, colori, varietà dinamica, senso del canto, nel quinto quartetto, il più "mozartiano" del gruppo. Interpretazione pur unitaria - quindi qualcuno potrebbe dire meno varia del dovuto - ma sostenuta con una virtuosismo strumentale veramente mozzafiato, ed un controllo della dinamica ed una precisione esecutiva da lasciare trasecolati. Il remastering di cui vi ho riportato la copertina (quello con la copertina originale posta in tralice, tipo la serie The Original) è semplicemente uno dei migliori remastering da matrice annalogica disponibili sul mercato. Ne sortisce una resa bellissima del calore timbrico di questa compagine italiana famosissima.
Posteriore cronologicamente ad entrambi, l'Alban Berg costituisce una sorta di sunto interpretativo alle esperienze degli altri due, di cui non stravolge la preferenza neoclassica per l'unitarietà. Al contempo però la precisione strumentale e dinamica, la levigatezza del timbro negli episodi lirici, unita al mordente di quelli drammatici rende nel complesso questa edizione una delle più omogeneee come resa generale dell'opera 18. Senza i punti di smagliante forza delle altre due edizioni, ma senza nemmeno i punti di debolezza. Il riversamento in digitale della EMI, di metà degli anni '80, non è fastidioso come quello DG per l'Amadeus, ma non è nemmeno travolgente, e risente anch'esso di un acuto un pò stridulo, e di una certaa mancanza di separazione tra le parti.
Meno abbagliate dal mito dell'unitarietà e più tese alla varietà dell'espressione le due più recenti registrazioni, quella del Tokyo String e del Takacs. Ma se l'interpretazione del Tokyo media tra l'esigenza di unitarietà ed il gusto per la frammentazione ed il caratteristico delle letture filologiche, la lettura del Takacs è molto più sinceramente ed entusiasticamente post-filologica, sotto questo punto di vista (giacché si suonano comunque strumenti "alla moderna").
Il Takacs Quartett dimostra inoltre un mordente, un vigore, una tensione costante nei ritmi, una stringatezza dei tempi adottati seconda solo a quella dell'Amadeus - se non a quella pari - e sentire unito questo mordente ad un tale gusto per la varietà dinamica ed espressiva ed una grande valorizzazione anche dell'espressione lirica e pre-schubertiana è veramente stato per me una esperienza appagante. Anche perché solo molto di rado la stringatezza dell'esecuzione avvilisce l'atmosfera lirica o tragica delle pagine più caratterizzate in questo senso. Perizia esecutiva ai limiti del virtuosismo assoluto, giacché alle velocità generalmente spedite si unisce un controllo della dinamica e del suono veramente sopraffini, paragonabile spesso anche a quello del Quartetto Italiano, di cui però manca in parte la cantabilità ed il calore intrinsecamente cameristico, giacché spesso il clima del Takacs è più concertistico che intimo. Comunque una registrazione da possedere a tutti i cost quella del Takacs, anche per gli appassionati della forma sonora delle varie registrazioni, giacché si tratta di una registrazione veramente splendida tutta digitale della migliore tradizione Decca. Distintissimi tra loro i vari strumenti, magnifici colori, grande ariosità, palcoscenico largo come solo nel remastering del Quartetto Italiano è dato trovare.
Il Quartetto di Tokyo (parliamo dell'ultima compagine, la migliore) sta al Takacs in parte come il Quartetto Italiano stava all'Amadeus. Tinte più pastellate, più calore nel fraseggio, gusto per la cantabilità, atmosfera più cameristica che concertistica. Ne risulta un Beethoven con maggior numero di anse liriche, ma che non rinuncia - come non rinunciava nel Quartetto italiano - a mordere quando la partitura lo richiede. Anzi, il Tokyo non cade mai come talvolta accadeva agli italiani, in quella rilassatezza ritmica che a volte può rendere meno coesi del dovuto alcuni movimenti iniziali. Nel porgerci un Beethoven più umano, non a tutti i costi Titanico, sta la preziosità della lettura del Tokyo, che raccoglie i pregi della letura del Quartetto Italiano minimizzandone quelli che potrebbero oggi apparire come difetti. Singolarissimo poi ascoltare il calore timbrico del violoncello ed al contempo la splendida brillantezza del violino di queste registrazioni: il Tokyo utilizza il "Quartetto Paganini" cioè quattro strumenti ad arco prodotti da Stradivari tra seicento e settecento ed appartenuti nel XIX secolo al famoso violinista italiano. La registrazione rende ampio merito a questi strumenti, meno rigorosamente analtica di quella Decca del Takacs, ma assieme a quella delle registrazioni del Quartetto Italiano una delle più realistiche e naturali.
Insomma, senza in nulla togliere alle registrazioni "storiche", credo che in questo caso mi sentirei di consigliare le due più recenti uscite discografiche per l'opera 18 di Beethoven, risolutamente o quella del Takacs Quartett o quella del Tokyo String per Harmonia mUndi France.
Buoni ascolti...