1) ERIC DOLPHY, Memorial Album, Prestige PR 7335, 1965 (Mono)
La foto è quella scaricabile da discogs, la prima delle 31 versioni attualmente inserite. La mia copia ha la stessa etichetta e lo stesso run out con VAN GELDER 'stamped', questa:
https://www.discogs.com/it/Eric-Dolphy-Booker-Little-Memorial-Album-Recorded-Live-At-The-Five-Spot/release/2822811
2) ERIC DOLPHY, Memorial Album, Prestige PRST 7335, 1965 (Stereo)
Anche questa foto è tratta da discogs e corrisponde alla mia copia: stesso run out; sia VAN GELDER sia STEREO sono 'stamped'
https://www.discogs.com/it/Eric-Dolphy-Booker-Little-Memorial-Album-Recorded-Live-At-The-Five-Spot-/release/4481174
Si tratta della terza edizione nella lista di discogs. E' interessante notare che questa mia copia stereo, AL CONTRARIO della mia mono, ha un vinile più pesante con il 'deep groove'.
Si tratta del terzo LP, in questo caso pubblicato nel 1965 [questo secondo discogs; altre fonti indicano 1964], che riproduce quanto registrato al Five Spot di New York nel luglio del 1961 da Rudy Van Gelder per la Prestige Records. Sono regitrazioni di altissimo livello da un punto di vista audiofilo e musicale ma, al contrario di tanti altri titoli curati in quegli anni da RVG, non sono stati riproposti dalle varie etichette “audiofile” a causa, credo, del contenuto musicale abbastanza ostico: si tratta di quel jazz d’avanguardia, ancora legato, per quanto riguarda la sezione ritmica, agli stilemi dell’hard bop della seconda metà dei ’50 ma che vede i due fiati in generale, e Dolphy in particolare, impegnati a esplorare i confini della tonalità nella progressione armonica, non disdegnando affatto suoni dissonanti.
Insomma, Eric Dolphy non è per tutti e quindi questo e gli altri due Lp che immortalano quella serata (Eric Dolphy at The Five Spot, voll. 1, 1961 & 2, 1963) quasi sicuramente non potranno bissare il successo audiofilo dei due ‘Riverside’ live di Bill Evans (‘Sunday at The Village Vanguard’, 1961 & ‘Waltz for Debbie’, 1962) registrati anch'essi nel 1961 e, immagino, nelle case di tanti gazebini.
Avevo già la prima emissione in Stereo e pochi giorni fa mi è stato “proposto” il suo fratellino in versione Mono.
Io preferisco usare ‘prima emissione’ o ‘prima edizione’ in luogo di ‘prima stampa’ e mai come nel caso di Lp come questi, editi da piccole case discografiche la distinzione è necessaria. Il perché è presto detto. Il binomio Prestige/RVG non prevedeva l’uso di codici raffinati, in grado di distinguere nella produzione dei vinili, Laquer disc, Metal Mother e Stamper, rispettivamente il primo, il quarto e il quinto e ultimo step necessario per passare dal master alla...padella da torturare coi nostri chiodini.
Qui come nei Blue Note, noi possiamo risalire con relativa facilità alla prima emissione grazie ai cambiamenti che queste Label praticavano sull’etichetta del disco: in questo caso, noi sappiamo che la Prestige nel periodo 1964-1971 - corrispondente ai numeri di catalogo 7265 - 7857 - ha utilizzato la Blue Trident Label, quella che vedete nelle foto, mentre per quanto riguarda il Run out Rudy Van Gelder si limitava a firmare.
Forse la più importante fonte su questa materia per quanto riguarda i dischi di musica jazz è 'londonjazzcollector', un sito gestito da un collezionista audiofilo che è in continua evoluzione, essendo diventato una sorta di banca dati mondiale. Qui trovate la 'label guide' della Prestige
https://londonjazzcollector.wordpress.com/record-labels-guide/prestige/4-prestige/
In questo caso, possiamo confrontare due ‘prime edizioni’ e, siccome siamo già nel 1965, sappiamo che l’edizione mono, se ha preceduto la versione stereo, lo ha fatto per un intervallo di tempo trascurabile: discogs riporta il 1965 come anno d’avvio per entrambe le edizioni e pochi mesi non credo possano influire sulla qualità del nastro master.
Insomma, possiamo solo ascoltare, valutare queste due copie senza azzardare giudizi definitivi o, peggio, tentare generalizzazioni sulla superiorità sonica dell’una tecnica di riproduzione sull’altra.
Ho ascoltato i due dischi tre volte in altrettante session, variando l’ordine d’ascolto. Devo dire che la valutazione della prima seduta è stata contermata dalle successive.
Il Mono entra di diritto nella categoria dei ‘grandi mono’: la finestra davanti all’ascoltatore è ampia e si concretizza in un’esplosione di suono davanti alla mia Poang. L’impatto, prima ancora dell’escursione dinamica, che è comunque notevolissima, è l’elemento decisivo che colpisce chi ascolta.
La conseguenza psico acustica, almeno per me, è la sensazione dell’ascolto dal vivo, in questo caso quello in un piccolo club, in posizione molto vicina ai musicisti.
La sua banda passante è notevole: il contrabbasso è presente ed è sufficientemente percepibile anche durante i soli dei fiati; il che è un risultato eccellente vista e considerata la ripresa dal vivo. Non escludo che questo sia il risultato della “mano” del tecnico del suono in fase di missaggio.
Quello che voglio dire è che, molto spesso, dal vivo, in un club, la possibilità di “seguire” le linee del contrabbasso è preclusa da molti fattori e, in primis dalla mano del batterista.
Qui, per fortuna, Ed Blackwell suona con grande intelligenza e prestando attenzione a chi gli sta intorno. Suona, come si usa dire, “in controllo” il che non impedisce a noi ascoltatori di apprezzare la veridicità del charleston e dei piatti: l’estensione in alto è ben presente.
Le migliori registrazioni a stato solido possono dare qualcosa in più? Senz’altro, ma ciò che si perde qui in termini di estensione lo si guadagna in termini di ricchezza armonica, sempre ihmo e sempre forse, ecc., ecc.
E la gamma media? Qui siamo a cavallo! Segnalo, per farla breve una presa di suono strepitosa del piano di Mal Waldrom sia per correttezza timbrica sia per resa dinamica, il che è notizia particolarmente gradita tenendo conto dell’uso sempre generoso che Waldrom fa del pedale di risonanza nel suo pianismo fatto d’iterazioni con l’uso di accordi con entrambi le mani. Insomma, Mal Waldrom registrato male, “impasterebbe” il suono alla grande. In questo caso siamo agli antipodi e il piano, forse risulta il ‘primus inter pares’ dove i pari sono il sax alto o il clarinetto basso di Dolphy e la tromba di Booker Little.
Come ne escono i fiati? ‘Veri’, mi verrebbe da dire, e con questo credo d’aver pagato il tributo doveroso al binomio RGV/Prestige.
Innanzitutto, sono realistici nei volumi di suono. Nel brano in side A, forse il più ostico dei due, quello che in copertina è indicato come ‘Number Eight’ ma sull’etichetta di trasforma in ‘Potsa Lotsa’, Eric Dolphy suona il sax alto e lo suona ‘as usual’: palette dinamica che varia dal mezzo-forte al fortissimo con quel suono pieno ma allo stesso tempo mai rotondo, al contrario tendente al tagliente e quindi, per molti ascoltatori, al lancinante. Il volume di suono che questo mono ci restituiice è impressionante e dà in qualche modo un’idea di cosa doveva arrivare alle orecchie degli astanti accorsi al Five Spot quella sera.
La tromba di Booker Little non è in grado di sostenere questo tipo di contronto “atletico”, sposta meno aria e questo il mono lo rende magnificamente.
Magnifica è anche la resa timbrica dei due strumenti; ho già accennato al sax alto di Dolphy, resta da dire del bellissimo, per me, timbro pastoso e scuro di Little che si combina benissimo col ‘quel’ contralto, a dimostrazione dell’intelligenza artistica di Eric Dolphy nello scegliere i musicisti.
Cosa succede passando all’ascolto stereofonico?
Naturalmente, intendendo con ‘stereo’, il significato usuale di ‘spaziale’ favorito dalla tecnica adottata sul finire degli anni cinquanta. Lo dico perché, se pensiamo all’altro significato della parola greca ‘stereo, ovvero ‘solido’, allora è difficile non definire ‘stereo’ il suono degli strumenti del mono appena ascoltato…
Ebbene, questa copia stereo, suona magnificamente, molto meglio delle decine di ristampe audiophile di jazz che ho posseduto/ascoltato in tutti questi anni, porta in dote i benefici di una spazialità che permette una dislocazione da destra a sinistra dei musicisti sul minuscolo palco del Five Spot (le foto di quella serata chiariscono che parlare di ‘profondità’ della scena sarebbe fuori luogo); ma non è allo stesso livello.
Siamo a livelli d’assoluta eccellenza, il mio precedente voto, che confermo, parla di un 89/100, ma…qualcosa manca in termini di realismo timbrico, di resa degli armonici, di dinamica: c’è meno suono, ergo, c’è meno musica.
E di questo ne prendiamo contezza subito, prima che il quintetto cominci a suonare ‘Number eight/Potsa Lotsa’: i musicisti salgono sul palco, Dolphy controlla che l’ancia e lo strumento siano a posto con una scala discendente fino al re bemolle grave [un semitono sopra il do, secondo spazio, chiave di basso]: la nota risuona sul mono, dando conto del riverbero del locale, con una modalità e temporalità che nella mia copia stereo non è presente con lo stesso grado di chiarezza.
Quanto seguirà confermerà questa prima impressione.
La distanza fra il ‘volume di suono’ del contralto di Dolphy e la tromba di Booker Little si riduce, il carattere lancinante del sax si stempera un pochino, la cordiera sul rullante di Eddie Blackwell è meno realistica, l’intelligibilità delle linee del contrabbasso di Richard Davis è minore e via di questo passo.
La perdita di suono è piccola ma è, a casa mia, chiaramente percepibile.
L’ascolto in stereofonia compensa? In parte, sì. La larghezza del palco è un valore aggiunto e da me apprezzata, per es. nel “dialogo” fra Waldrom e Blackwell, sempre in ‘Number Eight', durante l’assolo di piano.
Blackwell cambia ogni otto battute la figurazione ritmica con cui accompagna Waldrom, e in questo modo aggiunge variazione alla tipica “fissità” del pianista. La distanza fra i due - Waldrom è all’estrema sinistra, Blackwell al centro - aiuta a cogliere questo particolare, uno dei tanti che ha reso questo quintetto e queste registrazioni un punto di riferimento per gli appassionati di jazz degli anni sessanta.
In conclusione? Come detto all'inizio, non ci sono vere e proprie conclusioni, se non confermare la bontà del binomio RVG/Prestige e consigliare di ascoltare le prime emissioni Blue Trident Prestige, se ne avete l’opportunità.
Per quanto riguarda, la relativa inferiorità della mia copia stereo, che un altro appassionato potrebbe comunque preferire alla copia mono, confido che altri gazebini abbiano in casa altre copie “sorelle” della mia e ci sia in futuro la possibilità di ascolti comparati. Io, quasi sicuramente, non sono sul mercato per una seconda copia stereo ma sarei curioso di sapere se "tutte le altre" hanno quel qualcosa in meno da me riscontrato.
Buoni ascolti.
La foto è quella scaricabile da discogs, la prima delle 31 versioni attualmente inserite. La mia copia ha la stessa etichetta e lo stesso run out con VAN GELDER 'stamped', questa:
https://www.discogs.com/it/Eric-Dolphy-Booker-Little-Memorial-Album-Recorded-Live-At-The-Five-Spot/release/2822811
2) ERIC DOLPHY, Memorial Album, Prestige PRST 7335, 1965 (Stereo)
Anche questa foto è tratta da discogs e corrisponde alla mia copia: stesso run out; sia VAN GELDER sia STEREO sono 'stamped'
https://www.discogs.com/it/Eric-Dolphy-Booker-Little-Memorial-Album-Recorded-Live-At-The-Five-Spot-/release/4481174
Si tratta della terza edizione nella lista di discogs. E' interessante notare che questa mia copia stereo, AL CONTRARIO della mia mono, ha un vinile più pesante con il 'deep groove'.
Si tratta del terzo LP, in questo caso pubblicato nel 1965 [questo secondo discogs; altre fonti indicano 1964], che riproduce quanto registrato al Five Spot di New York nel luglio del 1961 da Rudy Van Gelder per la Prestige Records. Sono regitrazioni di altissimo livello da un punto di vista audiofilo e musicale ma, al contrario di tanti altri titoli curati in quegli anni da RVG, non sono stati riproposti dalle varie etichette “audiofile” a causa, credo, del contenuto musicale abbastanza ostico: si tratta di quel jazz d’avanguardia, ancora legato, per quanto riguarda la sezione ritmica, agli stilemi dell’hard bop della seconda metà dei ’50 ma che vede i due fiati in generale, e Dolphy in particolare, impegnati a esplorare i confini della tonalità nella progressione armonica, non disdegnando affatto suoni dissonanti.
Insomma, Eric Dolphy non è per tutti e quindi questo e gli altri due Lp che immortalano quella serata (Eric Dolphy at The Five Spot, voll. 1, 1961 & 2, 1963) quasi sicuramente non potranno bissare il successo audiofilo dei due ‘Riverside’ live di Bill Evans (‘Sunday at The Village Vanguard’, 1961 & ‘Waltz for Debbie’, 1962) registrati anch'essi nel 1961 e, immagino, nelle case di tanti gazebini.
Avevo già la prima emissione in Stereo e pochi giorni fa mi è stato “proposto” il suo fratellino in versione Mono.
Io preferisco usare ‘prima emissione’ o ‘prima edizione’ in luogo di ‘prima stampa’ e mai come nel caso di Lp come questi, editi da piccole case discografiche la distinzione è necessaria. Il perché è presto detto. Il binomio Prestige/RVG non prevedeva l’uso di codici raffinati, in grado di distinguere nella produzione dei vinili, Laquer disc, Metal Mother e Stamper, rispettivamente il primo, il quarto e il quinto e ultimo step necessario per passare dal master alla...padella da torturare coi nostri chiodini.
Qui come nei Blue Note, noi possiamo risalire con relativa facilità alla prima emissione grazie ai cambiamenti che queste Label praticavano sull’etichetta del disco: in questo caso, noi sappiamo che la Prestige nel periodo 1964-1971 - corrispondente ai numeri di catalogo 7265 - 7857 - ha utilizzato la Blue Trident Label, quella che vedete nelle foto, mentre per quanto riguarda il Run out Rudy Van Gelder si limitava a firmare.
Forse la più importante fonte su questa materia per quanto riguarda i dischi di musica jazz è 'londonjazzcollector', un sito gestito da un collezionista audiofilo che è in continua evoluzione, essendo diventato una sorta di banca dati mondiale. Qui trovate la 'label guide' della Prestige
https://londonjazzcollector.wordpress.com/record-labels-guide/prestige/4-prestige/
In questo caso, possiamo confrontare due ‘prime edizioni’ e, siccome siamo già nel 1965, sappiamo che l’edizione mono, se ha preceduto la versione stereo, lo ha fatto per un intervallo di tempo trascurabile: discogs riporta il 1965 come anno d’avvio per entrambe le edizioni e pochi mesi non credo possano influire sulla qualità del nastro master.
Insomma, possiamo solo ascoltare, valutare queste due copie senza azzardare giudizi definitivi o, peggio, tentare generalizzazioni sulla superiorità sonica dell’una tecnica di riproduzione sull’altra.
Ho ascoltato i due dischi tre volte in altrettante session, variando l’ordine d’ascolto. Devo dire che la valutazione della prima seduta è stata contermata dalle successive.
Il Mono entra di diritto nella categoria dei ‘grandi mono’: la finestra davanti all’ascoltatore è ampia e si concretizza in un’esplosione di suono davanti alla mia Poang. L’impatto, prima ancora dell’escursione dinamica, che è comunque notevolissima, è l’elemento decisivo che colpisce chi ascolta.
La conseguenza psico acustica, almeno per me, è la sensazione dell’ascolto dal vivo, in questo caso quello in un piccolo club, in posizione molto vicina ai musicisti.
La sua banda passante è notevole: il contrabbasso è presente ed è sufficientemente percepibile anche durante i soli dei fiati; il che è un risultato eccellente vista e considerata la ripresa dal vivo. Non escludo che questo sia il risultato della “mano” del tecnico del suono in fase di missaggio.
Quello che voglio dire è che, molto spesso, dal vivo, in un club, la possibilità di “seguire” le linee del contrabbasso è preclusa da molti fattori e, in primis dalla mano del batterista.
Qui, per fortuna, Ed Blackwell suona con grande intelligenza e prestando attenzione a chi gli sta intorno. Suona, come si usa dire, “in controllo” il che non impedisce a noi ascoltatori di apprezzare la veridicità del charleston e dei piatti: l’estensione in alto è ben presente.
Le migliori registrazioni a stato solido possono dare qualcosa in più? Senz’altro, ma ciò che si perde qui in termini di estensione lo si guadagna in termini di ricchezza armonica, sempre ihmo e sempre forse, ecc., ecc.
E la gamma media? Qui siamo a cavallo! Segnalo, per farla breve una presa di suono strepitosa del piano di Mal Waldrom sia per correttezza timbrica sia per resa dinamica, il che è notizia particolarmente gradita tenendo conto dell’uso sempre generoso che Waldrom fa del pedale di risonanza nel suo pianismo fatto d’iterazioni con l’uso di accordi con entrambi le mani. Insomma, Mal Waldrom registrato male, “impasterebbe” il suono alla grande. In questo caso siamo agli antipodi e il piano, forse risulta il ‘primus inter pares’ dove i pari sono il sax alto o il clarinetto basso di Dolphy e la tromba di Booker Little.
Come ne escono i fiati? ‘Veri’, mi verrebbe da dire, e con questo credo d’aver pagato il tributo doveroso al binomio RGV/Prestige.
Innanzitutto, sono realistici nei volumi di suono. Nel brano in side A, forse il più ostico dei due, quello che in copertina è indicato come ‘Number Eight’ ma sull’etichetta di trasforma in ‘Potsa Lotsa’, Eric Dolphy suona il sax alto e lo suona ‘as usual’: palette dinamica che varia dal mezzo-forte al fortissimo con quel suono pieno ma allo stesso tempo mai rotondo, al contrario tendente al tagliente e quindi, per molti ascoltatori, al lancinante. Il volume di suono che questo mono ci restituiice è impressionante e dà in qualche modo un’idea di cosa doveva arrivare alle orecchie degli astanti accorsi al Five Spot quella sera.
La tromba di Booker Little non è in grado di sostenere questo tipo di contronto “atletico”, sposta meno aria e questo il mono lo rende magnificamente.
Magnifica è anche la resa timbrica dei due strumenti; ho già accennato al sax alto di Dolphy, resta da dire del bellissimo, per me, timbro pastoso e scuro di Little che si combina benissimo col ‘quel’ contralto, a dimostrazione dell’intelligenza artistica di Eric Dolphy nello scegliere i musicisti.
Cosa succede passando all’ascolto stereofonico?
Naturalmente, intendendo con ‘stereo’, il significato usuale di ‘spaziale’ favorito dalla tecnica adottata sul finire degli anni cinquanta. Lo dico perché, se pensiamo all’altro significato della parola greca ‘stereo, ovvero ‘solido’, allora è difficile non definire ‘stereo’ il suono degli strumenti del mono appena ascoltato…
Ebbene, questa copia stereo, suona magnificamente, molto meglio delle decine di ristampe audiophile di jazz che ho posseduto/ascoltato in tutti questi anni, porta in dote i benefici di una spazialità che permette una dislocazione da destra a sinistra dei musicisti sul minuscolo palco del Five Spot (le foto di quella serata chiariscono che parlare di ‘profondità’ della scena sarebbe fuori luogo); ma non è allo stesso livello.
Siamo a livelli d’assoluta eccellenza, il mio precedente voto, che confermo, parla di un 89/100, ma…qualcosa manca in termini di realismo timbrico, di resa degli armonici, di dinamica: c’è meno suono, ergo, c’è meno musica.
E di questo ne prendiamo contezza subito, prima che il quintetto cominci a suonare ‘Number eight/Potsa Lotsa’: i musicisti salgono sul palco, Dolphy controlla che l’ancia e lo strumento siano a posto con una scala discendente fino al re bemolle grave [un semitono sopra il do, secondo spazio, chiave di basso]: la nota risuona sul mono, dando conto del riverbero del locale, con una modalità e temporalità che nella mia copia stereo non è presente con lo stesso grado di chiarezza.
Quanto seguirà confermerà questa prima impressione.
La distanza fra il ‘volume di suono’ del contralto di Dolphy e la tromba di Booker Little si riduce, il carattere lancinante del sax si stempera un pochino, la cordiera sul rullante di Eddie Blackwell è meno realistica, l’intelligibilità delle linee del contrabbasso di Richard Davis è minore e via di questo passo.
La perdita di suono è piccola ma è, a casa mia, chiaramente percepibile.
L’ascolto in stereofonia compensa? In parte, sì. La larghezza del palco è un valore aggiunto e da me apprezzata, per es. nel “dialogo” fra Waldrom e Blackwell, sempre in ‘Number Eight', durante l’assolo di piano.
Blackwell cambia ogni otto battute la figurazione ritmica con cui accompagna Waldrom, e in questo modo aggiunge variazione alla tipica “fissità” del pianista. La distanza fra i due - Waldrom è all’estrema sinistra, Blackwell al centro - aiuta a cogliere questo particolare, uno dei tanti che ha reso questo quintetto e queste registrazioni un punto di riferimento per gli appassionati di jazz degli anni sessanta.
In conclusione? Come detto all'inizio, non ci sono vere e proprie conclusioni, se non confermare la bontà del binomio RVG/Prestige e consigliare di ascoltare le prime emissioni Blue Trident Prestige, se ne avete l’opportunità.
Per quanto riguarda, la relativa inferiorità della mia copia stereo, che un altro appassionato potrebbe comunque preferire alla copia mono, confido che altri gazebini abbiano in casa altre copie “sorelle” della mia e ci sia in futuro la possibilità di ascolti comparati. Io, quasi sicuramente, non sono sul mercato per una seconda copia stereo ma sarei curioso di sapere se "tutte le altre" hanno quel qualcosa in meno da me riscontrato.
Buoni ascolti.
Ultima modifica di Bertox il Mer Giu 23 2021, 15:08 - modificato 1 volta.