Non vorrei apparire pedante nè saccente, ma in molte affermazioni fatte spesso da audiofili ed appassionati ricorre la parola “psicoacustica”, con accezioni talora negativa, usata come sinonimo di “fuffa” o di “ suggestione”. Quello che vorrei dire, con criteri scientifici, è che le cose non stanno esattamente così.
Come tutti sapete, il suono puro sopra i 15 kHz è difficile da sentire. La risposta in frequenza di un normale quarantenne arriva in genere tra i 15 ed i 17 kHz, scendendo ulteriormente con l'invecchiamento fisiologico, ma parecchie esperienze documentano che l'orecchio esercitato al suono coglie minime differenza sulle alte frequenze anche se non vengono percepite come suoni puri. Nella ricostruzione del suono, infatti, che è quello che fa il cervello, entrano anche le armoniche superiori ed in questo senso anche suoni superiori ai 20 kHz, che non vengono percepiti, assumono importanza per la qualità del suono. Consiglio di leggere a tale proposito la parola ed il canto, di De Santis e Fussi, ed. Piccin Padova, libro vecchiotto ma sempre valido, scritto da due foniatri. Oppure anche "Cosa sente il nostro orecchio - acustica e psicoacustica, un affascinante viaggio nel mondo dei suoni", di Andrea di Giovanni, Casa Musicale Eco.
Quindi, in generale, tanto più è estesa la risposta in frequenza, tante più informazioni sono potenzialmente disponibili.
Sulle base frequenze il discorso è ancora più complicato, perchè varia ancora di più la percezione soggettiva. In particolare frequenze sotto i 30 Hz (come toni puri) sono difficilmente percepibili come suono, ma sono avvertibilissime come vibrazioni. Tanto più aumenta l’età, tanto maggiore è il decadimento della prestazione acustica, sia in alto che in basso. Ma, non ci si deve dimenticare della memoria, fantastica capacità che ci trae spesso d’impaccio, ma ci regala anche qualche falsa percezione. E arriviamo alla parolina cardine di tutto il discorso: “percezione”. Innazitutto essa va definita. Che cosa si intende infatti con tale termine?
La percezione è classicamente distinta sulla base delle aree percettive, in buona parte corrispondenti ad organi percettori diversi; si descrivono pertanto un’area sensoriale visiva, una uditiva, una tattile e cenestesica, una gustativa e olfattiva. Quindi una percezione visiva, olfattiva, uditiva, ecc.. Tali campi ovviamente identificano anche i disturbi in tale aree, come le allucinaziono, che al momento non interessano nel nostro discorso.
Quello che però è importante è che ogni percezione viaggia dagli organi di senso al cervello e qua viene elaborata in chiave sia conscia che inconscia.
Il tutto viene integrato non solo dalla memoria (nel caso di specie dalla memoria per i suoni - che se è di tipo particolare passa sotto il nome di orecchio assoluto), ma anche da quello che passa sotto il concetto di affettività, che è definibile come il complesso dinamico dei fatti e dei fenomeni affettivi (sentimenti, emozioni, passioni, ecc.) che caratterizzano le tendenze e le reazioni psichiche di un individuo.
Tutto questo pistolotto per comprendere che i nostri stati d’animo, il nostro umore, ecc., sono parte del processo percettivo e non possono essere disgiunti dalla percezione sensoriale medesima.
Siamo una cosiddetta unità somato-sensoriale e quello che sentiamo percepiamo, captiamo, in ogni modo con i nostri organi di senso, non può essere disgiunta dalla nostra elaborazione intrapsichica del fenomeno.
Di questi aspetti si sono occupati numerosi Autori, sia italiani che stranieri, anche se la diffusione di questi studi è abbastanza limitata all’ambito specialistico, dato che tutti o quasi gli studi sono orientati alla patologia delle percezioni e non alla loro normalità.
La cosa funziona anche al contrario, nel senso che la percezione sensoriale oltre che essere influenzata dall’affettività, può anche determinare variazioni degli stati d’animo e dell’umore e per questo motivo si utilizza la cosiddetta musicoterapia. D’altro canto è nozione comune che la tonalità di un determinato brano musicale determini un certo atteggiamento mentale nell’ascoltatore e questo aspetto è utilizzato dal compositore per creare determinate atmosfere. Senza approfondire troppo, pensate alle tonalità maggiore o minore, che identificano diversi colori ed atmosfere. Tali aspetti percettivi sono intimamente correlati, secondo moltissimi neurofisiologi, al sincronismo con le onde cerebrali, oppure a multipli della loro frequenza.
Quindi, in conclusione, l’intera percezione musicale in senso lato (fatto che comporta anche dovere successivamente parlare di armonia e melodia) non può che essere definita come psicoacustica, togliendo finalmente a tale termine ogni accezione dispregiativa.
Se la cosa interessa se ne può parlare ulteriormente, ditemi voi.
Come tutti sapete, il suono puro sopra i 15 kHz è difficile da sentire. La risposta in frequenza di un normale quarantenne arriva in genere tra i 15 ed i 17 kHz, scendendo ulteriormente con l'invecchiamento fisiologico, ma parecchie esperienze documentano che l'orecchio esercitato al suono coglie minime differenza sulle alte frequenze anche se non vengono percepite come suoni puri. Nella ricostruzione del suono, infatti, che è quello che fa il cervello, entrano anche le armoniche superiori ed in questo senso anche suoni superiori ai 20 kHz, che non vengono percepiti, assumono importanza per la qualità del suono. Consiglio di leggere a tale proposito la parola ed il canto, di De Santis e Fussi, ed. Piccin Padova, libro vecchiotto ma sempre valido, scritto da due foniatri. Oppure anche "Cosa sente il nostro orecchio - acustica e psicoacustica, un affascinante viaggio nel mondo dei suoni", di Andrea di Giovanni, Casa Musicale Eco.
Quindi, in generale, tanto più è estesa la risposta in frequenza, tante più informazioni sono potenzialmente disponibili.
Sulle base frequenze il discorso è ancora più complicato, perchè varia ancora di più la percezione soggettiva. In particolare frequenze sotto i 30 Hz (come toni puri) sono difficilmente percepibili come suono, ma sono avvertibilissime come vibrazioni. Tanto più aumenta l’età, tanto maggiore è il decadimento della prestazione acustica, sia in alto che in basso. Ma, non ci si deve dimenticare della memoria, fantastica capacità che ci trae spesso d’impaccio, ma ci regala anche qualche falsa percezione. E arriviamo alla parolina cardine di tutto il discorso: “percezione”. Innazitutto essa va definita. Che cosa si intende infatti con tale termine?
La percezione è classicamente distinta sulla base delle aree percettive, in buona parte corrispondenti ad organi percettori diversi; si descrivono pertanto un’area sensoriale visiva, una uditiva, una tattile e cenestesica, una gustativa e olfattiva. Quindi una percezione visiva, olfattiva, uditiva, ecc.. Tali campi ovviamente identificano anche i disturbi in tale aree, come le allucinaziono, che al momento non interessano nel nostro discorso.
Quello che però è importante è che ogni percezione viaggia dagli organi di senso al cervello e qua viene elaborata in chiave sia conscia che inconscia.
Il tutto viene integrato non solo dalla memoria (nel caso di specie dalla memoria per i suoni - che se è di tipo particolare passa sotto il nome di orecchio assoluto), ma anche da quello che passa sotto il concetto di affettività, che è definibile come il complesso dinamico dei fatti e dei fenomeni affettivi (sentimenti, emozioni, passioni, ecc.) che caratterizzano le tendenze e le reazioni psichiche di un individuo.
Tutto questo pistolotto per comprendere che i nostri stati d’animo, il nostro umore, ecc., sono parte del processo percettivo e non possono essere disgiunti dalla percezione sensoriale medesima.
Siamo una cosiddetta unità somato-sensoriale e quello che sentiamo percepiamo, captiamo, in ogni modo con i nostri organi di senso, non può essere disgiunta dalla nostra elaborazione intrapsichica del fenomeno.
Di questi aspetti si sono occupati numerosi Autori, sia italiani che stranieri, anche se la diffusione di questi studi è abbastanza limitata all’ambito specialistico, dato che tutti o quasi gli studi sono orientati alla patologia delle percezioni e non alla loro normalità.
La cosa funziona anche al contrario, nel senso che la percezione sensoriale oltre che essere influenzata dall’affettività, può anche determinare variazioni degli stati d’animo e dell’umore e per questo motivo si utilizza la cosiddetta musicoterapia. D’altro canto è nozione comune che la tonalità di un determinato brano musicale determini un certo atteggiamento mentale nell’ascoltatore e questo aspetto è utilizzato dal compositore per creare determinate atmosfere. Senza approfondire troppo, pensate alle tonalità maggiore o minore, che identificano diversi colori ed atmosfere. Tali aspetti percettivi sono intimamente correlati, secondo moltissimi neurofisiologi, al sincronismo con le onde cerebrali, oppure a multipli della loro frequenza.
Quindi, in conclusione, l’intera percezione musicale in senso lato (fatto che comporta anche dovere successivamente parlare di armonia e melodia) non può che essere definita come psicoacustica, togliendo finalmente a tale termine ogni accezione dispregiativa.
Se la cosa interessa se ne può parlare ulteriormente, ditemi voi.