PROLOGO
Incollato alle casse dello stereo come un insetto incappato nella carta moschicida
Brendan Perry è certamente uno dei nomi più’ eclettici del panorama contemporaneo…schivo,
intelligente, una sorta di antropologo del suono, dotato di una forte personalità che traspare dai suoi lavori, cosi’ poco incline a strizzare l’occhio all’easy listening, alla radiofonia e a scendere a patti con lo show-business.
Una figura di culto, fedele al suo passato, che ricalca ancora quel filone cosi’ oscuro, fatto di atmosfere ricercate ed intimistiche, di suoni che perlustrano mondi sommersi.
Certo quella voce…quella voce che gia’ coi D.C.D. era intrisa di riferimenti morrisoniani, si fa più’ profonda e solenne adesso, quella voce unica nella storia dei gruppi che hanno contraddistinto gli anni ’80, il catalogo 4AD, ma soprattutto lo spirito della new wave.
Rapito in un viaggio senza partenza né arrivo, in un sogno senza destinazione né tempo…un sogno da cui non si vorrebbe tornare indietro, ascolto The Eye Of The Hunter.
Chitarra e voce come tutto l’album…e la mente corre indietro, a quel piacere fisico-mentale, quelle atmosfere che solo le note di tim buckley, robert wyatt, ben watt, nick drake, gene clark, avevano saputo disegnare.
Ma è soprattutto nell’ascolto in cuffia che il cd implode nella sua rarefatta intrinseca bellezza.
Un album passionale in cui si respira lo strappo avvenuto con D.C.D. ed inevitabilmente con lisa gerrard.
Una collezione di otto tracce una più’ bella dell’altra, anche se è The Captive Heart che mi costringerà ad inserire la funzione repeat nel lettore fino alla nausea…e poi quella cover di Tim Buckley…il capolavoro in assoluto… I must Have Been Blind, con quelle magiche tastiere in sottofondo e quel riverbero, quel riverbero che fa da filo conduttore a tutto il l’album inciso, come qualche altro memorabile lavoro (Into The Labyrinth),nella Quivvy Church, e che avvolge tutto il disco di un’atmosfera davvero particolare, quasi liturgica, intriso di una dolcezza dimenticata … cosi’ tenera ed innocente come il sorriso di un bimbo.
Se amate dead can dance, se amate la Musica, se vi piace sognare con la complicità delle tenebre, se non vorreste essere dove siete adesso, questa è la vostra linfa vitale, la sublimazione dei vostri sogni.
Liz.
Incollato alle casse dello stereo come un insetto incappato nella carta moschicida
“ Sometimes my soul desires
To take leave of this old world
To spread these golden wings and fly
To the city of angels”
-The Captive Heart-
To take leave of this old world
To spread these golden wings and fly
To the city of angels”
-The Captive Heart-
Brendan Perry è certamente uno dei nomi più’ eclettici del panorama contemporaneo…schivo,
intelligente, una sorta di antropologo del suono, dotato di una forte personalità che traspare dai suoi lavori, cosi’ poco incline a strizzare l’occhio all’easy listening, alla radiofonia e a scendere a patti con lo show-business.
Una figura di culto, fedele al suo passato, che ricalca ancora quel filone cosi’ oscuro, fatto di atmosfere ricercate ed intimistiche, di suoni che perlustrano mondi sommersi.
Certo quella voce…quella voce che gia’ coi D.C.D. era intrisa di riferimenti morrisoniani, si fa più’ profonda e solenne adesso, quella voce unica nella storia dei gruppi che hanno contraddistinto gli anni ’80, il catalogo 4AD, ma soprattutto lo spirito della new wave.
Rapito in un viaggio senza partenza né arrivo, in un sogno senza destinazione né tempo…un sogno da cui non si vorrebbe tornare indietro, ascolto The Eye Of The Hunter.
Chitarra e voce come tutto l’album…e la mente corre indietro, a quel piacere fisico-mentale, quelle atmosfere che solo le note di tim buckley, robert wyatt, ben watt, nick drake, gene clark, avevano saputo disegnare.
Ma è soprattutto nell’ascolto in cuffia che il cd implode nella sua rarefatta intrinseca bellezza.
Un album passionale in cui si respira lo strappo avvenuto con D.C.D. ed inevitabilmente con lisa gerrard.
Una collezione di otto tracce una più’ bella dell’altra, anche se è The Captive Heart che mi costringerà ad inserire la funzione repeat nel lettore fino alla nausea…e poi quella cover di Tim Buckley…il capolavoro in assoluto… I must Have Been Blind, con quelle magiche tastiere in sottofondo e quel riverbero, quel riverbero che fa da filo conduttore a tutto il l’album inciso, come qualche altro memorabile lavoro (Into The Labyrinth),nella Quivvy Church, e che avvolge tutto il disco di un’atmosfera davvero particolare, quasi liturgica, intriso di una dolcezza dimenticata … cosi’ tenera ed innocente come il sorriso di un bimbo.
Se amate dead can dance, se amate la Musica, se vi piace sognare con la complicità delle tenebre, se non vorreste essere dove siete adesso, questa è la vostra linfa vitale, la sublimazione dei vostri sogni.
Liz.