Non necessariamente riferito alle uscite dell’anno appena passato; molto più semplicemente quello o quelli che, inseriti in discoteca nel secondo anno pandemico, hanno lasciato il segno, vi hanno scaldato il cuore da un punto di vista musicale e sonoro e quindi vi fa piacere segnalare.
Comincio io e comincio con il jazz, poi, se il 3d, prende corpo e diverte, aggiungerò altre cosette .
Vi dico subito che non non ci sono release del 2021. Non è un giudizio di valore: semplicemente il mio andare a caccia è condizionato dagli ascolti del passato e…forse la curiosità difetta . Anche per questo apro questo 3d: condividere è un modo per fare nuove scoperte…
A gennaio ho trovato questo:
Un RCA Victor del periodo migliore: qui siamo nel 1962 e la major americana fa il botto mettendo sotto contratto per una serie di album Sonny Rollins che, proprio all’apice della sua fama, si è ritirato dalle scene e trascorre gran parte del suo tempo nei pressi del ponte Williamsburg dove può far pratica dello strumento senza disturbare e…senza essere disturbato. Il titolo dell’album del ritorno è quindi inevitabile…
Quando tra appassionati o, peggio, tra sassofonisti, si fa la classica domanda ‘qual è il tuo disco preferito di…?’; se c’è di mezzo Sonny Rollins i pareri si differenziano in maniera ottima e abbondante.
E’ inevitabile: le prime registrazioni sono degli inizi del 1950, le ultime già dentro il terzo millennio.
Il “mio” Sonny Rollins non è quello del periodo RCA ma ‘The Bridge’ è un disco davvero molto bello, ben pensato sia nella scelta dei brani sia dei partner, a cominciare dal chitarrista Jim Hall; insomma, quando l’ho visto in negozio a un prezzo persino inferiore ad alcune ristampe audiofile a 45 gg., l’ho portato a casa senza alcuna esitazione .
E ho fatto benissimo.
Come si vede, è la versione mono e siamo nel periodo d’oro della ‘RCA Victor’, quello dove tutti gli astri sono allineati; di lì a poco comincerà il periodo ‘dynagroove’ e la qualità comincerà a declinare.
La mia copia è ‘1S’, ovvero la coppia ‘metal mother’/stamper discende dal primo ‘laquer master’ inciso a partire dal nastro master [per una miglior comprensione, si veda qui, in ‘Analogico’, 3d ‘Laquers ???’, il mio Mess. n°4]; insomma, siamo proprio vicini vicini al nastro master scaturito dalle tre sedute del gennaio/febbraio 1962.
Come suona?
Cominciamo col dire che gli ‘RCA Victor’ del periodo d’oro - non è l’unico qui negli scaffali - suonano in maniera diversa dalle registrazioni/masterizzazioni di Rudy Van Gelder per ‘Blue Note’ o ‘Prestige’.
Parlando delle versioni mono, gli ‘RCA’ non hanno la stessa “larghezza di scena” dei lavori di RVG né lo stesso impatto, quel “muro di suono” che ti colpisce e ti incolla in poltrona anche grazie a una timbrica in gamma media, “piena”, “grassa”, magari un pò eufonica ma incredibilmente affascinante perché dotata di una ricchezza d’armonici che spesso non trovo nelle registrazioni a stato solido dei decenni successivi.
Per converso, questi ‘RCA’ hanno una qualità, una raffinatezza timbrica superiore, una sorta di ”leggerezza” - non so trovare termine migliore - nel porgere il suono tale per cui questo risulta meno “grasso” ma non perché privo d’armonici ma, al contrario, perché “liberato” da quella sorta d’eccesso che in qualche modo accompagna la produzione RVG.
Questo ‘The Bridge’ esemplifica nel miglior modo possibile queste caratteristiche soniche.
Prendiamo uno strumento difficilissimo da riprodurre: il contrabbasso degli anni ’50/primi ’60, quello ancora condizionato, nel bene e nel male, dalle corde di minugia, con quel suono che, in molte ristampe suona “stopposo”, con quella sorta di rimbombo mono-tono che risulta quindi… monotono.
Non qui, la cavata di Bob Cranshaw - forse il bassista preferito da Sonny Rollins, a giudicare dal numero di collaborazioni nel corso dei decenni - è da brividi, dovrei controllare ma credo che questa sia la miglior riproduzione di contrabbasso prima dell'arrivo delle corde metalliche della mia discoteca.
Discorso analogo si potrebbe fare per la chitarra semi-acustica di Jim Hall, altro strumento assai difficile da rendere, ma mi fermo qui; il voto provvisorio - in attesa di un riascolto di tutti i vinili dal 9 in sù - dice tutto: 95/100.
Passano un paio di mesi e inciampo, davvero casualmente (era nel reparto dei dischi super economici di un mio pusher che in genere non commette errori così marchiani ) in questo:
Disco già posseduto in una precedente vita audiofila e quindi, dopo un sussulto di soddisfazione possibile solo con la tradizionale ricerca in negozio, portato velocemente alla cassa .
Il disco uscì in USA nel 1963 e in Italia qualche anno dopo. La mia è una seconda emissione dei primi anni settanta con ‘SIAE’ stampato sull’etichetta
in luogo del ‘D.R.’ della prima emissione:
[per una spiegazione dell’utilizzo del codice dei diritti depositati come criterio per la datazione delle stampe italiane, si veda qui, ‘Analogico’, 3d ‘Caccia al vinile “made in Italy”: un paio di dritte “Old Style”.’]
Poco male. Il disco suona alla grande. Una leggera tendenza al chiaro in gamma medio-alta, tendenza che il mio sistema tende a sottolineare, gli preclude di un soffio l’ingresso nell’olimpo.
Il mio voto è 89/100, che è un risultato straordinario considerando quanto detto: seconda emissione italiana di un vinile made in USA. E’ chiaro che il tutto deriva da una registrazione strepitosa, il che è anche comprovato da una emissione/ristampa per audiofili di questo titolo del 2008 su tre dischi da parte dei tipi della 'Classic Records'.
Sarebbe interessante fare un confronto, così come ascoltare una prima emissione “made in USA”.
Il contenuto musicale rafforza il piacere dell’ascolto: i due non hanno, ovviamente, nessuna difficoltà a dialogare e Louis Armstrong, soprattutto al canto, è davvero encomiabile nell’entrare nelle pieghe più recondite del mondo del Duca. Si ascolti, per esempio, ‘I got it bad and that ain’t good’: non credo che Duke sia rimasto deluso dal modo in cui Satchmo l’ha interpretata.
Ultima nota a margine: il vinile mi è costato la bellezza di 4, diconsi quattro, eurelli.
L’ultimo vinile in ordine di tempo che ho fortemente voluto appena l’ho adocchiato da uno dei miei pusher è questo:
Conosciamo la genesi di questo ‘Impulse!’ così come di quelli a lui vicini in fase di pubblicazione ( ‘Coltrane’, Impulse! A/AS 21; ‘Duke Ellington & John Coltrane’, Impulse! A/AS 30)
John Coltrane, con i primi due album per la nuova label, ‘Africa Brass’, Impulse! A/AS 4 (1961), e soprattutto ‘Coltrane Live at the Village Vanguard’, Impulse A/AS 10 (1962) aveva scatenato l’entusiasmo dei giovani musicisti e…le critiche, persino feroci, degli addetti ai lavori.
Bisognava tirare un pochino il freno a mano; e niente cadeva più a fagiolo di un album di sole ballad!
Inutile spendere parole sulla musica: queste tre session del novembre del 1962 - il disco uscì come Impulse! A/AS 32 nel 1963 - colgono il John Coltrane Quartet nel periodo di definitiva maturità e coesione.
Per nostra nostra fortuna, il tutto avviene nel periodo aureo della registrazione analogica e sotto la sapiente regia di uno dei suoi migliori tecnici del suono.
Infatti, l’ascolto non delude, anche in questa ristampa del 1972.
Facendo qualche confronto con altre session dell'accoppiata John Coltrane Quartet/Rudy Van Gelder in versione vinilica ‘orange’ o, comunque, precedente a questa, direi che la perdita maggiore è verso gli estremi della banda passante e che quindi i due membri del quartetto più penalizzati sono Elvin Jones (batteria) e Jimmy Garrison (contrabbasso). Buone notizie per Coltrane, qui sempre al sax tenore, e per McCoy Tyner, il cui piano ha una liquidità davvero apprezzabile - la presa di suono del pianoforte non è mai stato il punto di forza di RVG.
Per quanto riguarda il lavoro di missaggio per costruire un virtuale palcoscenico davanti all’ascoltatore, invece, direi proprio che questa ristampa non fa rimpiangere la mancanza di una stampa precedente: siamo a livelli straordinari sia per fermezza dell’immagine dei quattro sia per distribuzione nello spazio tridimensionale con una nota di menzione per lo sviluppo in larghezza - qui ben oltre i confini dei diffusori - che non mortifica - come sovente avviene - lo sviluppo in profondità.
Il mio voto è 84/100.
Ora toccherebbe a voi; non siate timidi
Buon Anno e tanta buona musica a tutti i gazebini.
Comincio io e comincio con il jazz, poi, se il 3d, prende corpo e diverte, aggiungerò altre cosette .
Vi dico subito che non non ci sono release del 2021. Non è un giudizio di valore: semplicemente il mio andare a caccia è condizionato dagli ascolti del passato e…forse la curiosità difetta . Anche per questo apro questo 3d: condividere è un modo per fare nuove scoperte…
A gennaio ho trovato questo:
Un RCA Victor del periodo migliore: qui siamo nel 1962 e la major americana fa il botto mettendo sotto contratto per una serie di album Sonny Rollins che, proprio all’apice della sua fama, si è ritirato dalle scene e trascorre gran parte del suo tempo nei pressi del ponte Williamsburg dove può far pratica dello strumento senza disturbare e…senza essere disturbato. Il titolo dell’album del ritorno è quindi inevitabile…
Quando tra appassionati o, peggio, tra sassofonisti, si fa la classica domanda ‘qual è il tuo disco preferito di…?’; se c’è di mezzo Sonny Rollins i pareri si differenziano in maniera ottima e abbondante.
E’ inevitabile: le prime registrazioni sono degli inizi del 1950, le ultime già dentro il terzo millennio.
Il “mio” Sonny Rollins non è quello del periodo RCA ma ‘The Bridge’ è un disco davvero molto bello, ben pensato sia nella scelta dei brani sia dei partner, a cominciare dal chitarrista Jim Hall; insomma, quando l’ho visto in negozio a un prezzo persino inferiore ad alcune ristampe audiofile a 45 gg., l’ho portato a casa senza alcuna esitazione .
E ho fatto benissimo.
Come si vede, è la versione mono e siamo nel periodo d’oro della ‘RCA Victor’, quello dove tutti gli astri sono allineati; di lì a poco comincerà il periodo ‘dynagroove’ e la qualità comincerà a declinare.
La mia copia è ‘1S’, ovvero la coppia ‘metal mother’/stamper discende dal primo ‘laquer master’ inciso a partire dal nastro master [per una miglior comprensione, si veda qui, in ‘Analogico’, 3d ‘Laquers ???’, il mio Mess. n°4]; insomma, siamo proprio vicini vicini al nastro master scaturito dalle tre sedute del gennaio/febbraio 1962.
Come suona?
Cominciamo col dire che gli ‘RCA Victor’ del periodo d’oro - non è l’unico qui negli scaffali - suonano in maniera diversa dalle registrazioni/masterizzazioni di Rudy Van Gelder per ‘Blue Note’ o ‘Prestige’.
Parlando delle versioni mono, gli ‘RCA’ non hanno la stessa “larghezza di scena” dei lavori di RVG né lo stesso impatto, quel “muro di suono” che ti colpisce e ti incolla in poltrona anche grazie a una timbrica in gamma media, “piena”, “grassa”, magari un pò eufonica ma incredibilmente affascinante perché dotata di una ricchezza d’armonici che spesso non trovo nelle registrazioni a stato solido dei decenni successivi.
Per converso, questi ‘RCA’ hanno una qualità, una raffinatezza timbrica superiore, una sorta di ”leggerezza” - non so trovare termine migliore - nel porgere il suono tale per cui questo risulta meno “grasso” ma non perché privo d’armonici ma, al contrario, perché “liberato” da quella sorta d’eccesso che in qualche modo accompagna la produzione RVG.
Questo ‘The Bridge’ esemplifica nel miglior modo possibile queste caratteristiche soniche.
Prendiamo uno strumento difficilissimo da riprodurre: il contrabbasso degli anni ’50/primi ’60, quello ancora condizionato, nel bene e nel male, dalle corde di minugia, con quel suono che, in molte ristampe suona “stopposo”, con quella sorta di rimbombo mono-tono che risulta quindi… monotono.
Non qui, la cavata di Bob Cranshaw - forse il bassista preferito da Sonny Rollins, a giudicare dal numero di collaborazioni nel corso dei decenni - è da brividi, dovrei controllare ma credo che questa sia la miglior riproduzione di contrabbasso prima dell'arrivo delle corde metalliche della mia discoteca.
Discorso analogo si potrebbe fare per la chitarra semi-acustica di Jim Hall, altro strumento assai difficile da rendere, ma mi fermo qui; il voto provvisorio - in attesa di un riascolto di tutti i vinili dal 9 in sù - dice tutto: 95/100.
Passano un paio di mesi e inciampo, davvero casualmente (era nel reparto dei dischi super economici di un mio pusher che in genere non commette errori così marchiani ) in questo:
Disco già posseduto in una precedente vita audiofila e quindi, dopo un sussulto di soddisfazione possibile solo con la tradizionale ricerca in negozio, portato velocemente alla cassa .
Il disco uscì in USA nel 1963 e in Italia qualche anno dopo. La mia è una seconda emissione dei primi anni settanta con ‘SIAE’ stampato sull’etichetta
in luogo del ‘D.R.’ della prima emissione:
[per una spiegazione dell’utilizzo del codice dei diritti depositati come criterio per la datazione delle stampe italiane, si veda qui, ‘Analogico’, 3d ‘Caccia al vinile “made in Italy”: un paio di dritte “Old Style”.’]
Poco male. Il disco suona alla grande. Una leggera tendenza al chiaro in gamma medio-alta, tendenza che il mio sistema tende a sottolineare, gli preclude di un soffio l’ingresso nell’olimpo.
Il mio voto è 89/100, che è un risultato straordinario considerando quanto detto: seconda emissione italiana di un vinile made in USA. E’ chiaro che il tutto deriva da una registrazione strepitosa, il che è anche comprovato da una emissione/ristampa per audiofili di questo titolo del 2008 su tre dischi da parte dei tipi della 'Classic Records'.
Sarebbe interessante fare un confronto, così come ascoltare una prima emissione “made in USA”.
Il contenuto musicale rafforza il piacere dell’ascolto: i due non hanno, ovviamente, nessuna difficoltà a dialogare e Louis Armstrong, soprattutto al canto, è davvero encomiabile nell’entrare nelle pieghe più recondite del mondo del Duca. Si ascolti, per esempio, ‘I got it bad and that ain’t good’: non credo che Duke sia rimasto deluso dal modo in cui Satchmo l’ha interpretata.
Ultima nota a margine: il vinile mi è costato la bellezza di 4, diconsi quattro, eurelli.
L’ultimo vinile in ordine di tempo che ho fortemente voluto appena l’ho adocchiato da uno dei miei pusher è questo:
Conosciamo la genesi di questo ‘Impulse!’ così come di quelli a lui vicini in fase di pubblicazione ( ‘Coltrane’, Impulse! A/AS 21; ‘Duke Ellington & John Coltrane’, Impulse! A/AS 30)
John Coltrane, con i primi due album per la nuova label, ‘Africa Brass’, Impulse! A/AS 4 (1961), e soprattutto ‘Coltrane Live at the Village Vanguard’, Impulse A/AS 10 (1962) aveva scatenato l’entusiasmo dei giovani musicisti e…le critiche, persino feroci, degli addetti ai lavori.
Bisognava tirare un pochino il freno a mano; e niente cadeva più a fagiolo di un album di sole ballad!
Inutile spendere parole sulla musica: queste tre session del novembre del 1962 - il disco uscì come Impulse! A/AS 32 nel 1963 - colgono il John Coltrane Quartet nel periodo di definitiva maturità e coesione.
Per nostra nostra fortuna, il tutto avviene nel periodo aureo della registrazione analogica e sotto la sapiente regia di uno dei suoi migliori tecnici del suono.
Infatti, l’ascolto non delude, anche in questa ristampa del 1972.
Facendo qualche confronto con altre session dell'accoppiata John Coltrane Quartet/Rudy Van Gelder in versione vinilica ‘orange’ o, comunque, precedente a questa, direi che la perdita maggiore è verso gli estremi della banda passante e che quindi i due membri del quartetto più penalizzati sono Elvin Jones (batteria) e Jimmy Garrison (contrabbasso). Buone notizie per Coltrane, qui sempre al sax tenore, e per McCoy Tyner, il cui piano ha una liquidità davvero apprezzabile - la presa di suono del pianoforte non è mai stato il punto di forza di RVG.
Per quanto riguarda il lavoro di missaggio per costruire un virtuale palcoscenico davanti all’ascoltatore, invece, direi proprio che questa ristampa non fa rimpiangere la mancanza di una stampa precedente: siamo a livelli straordinari sia per fermezza dell’immagine dei quattro sia per distribuzione nello spazio tridimensionale con una nota di menzione per lo sviluppo in larghezza - qui ben oltre i confini dei diffusori - che non mortifica - come sovente avviene - lo sviluppo in profondità.
Il mio voto è 84/100.
Ora toccherebbe a voi; non siate timidi
Buon Anno e tanta buona musica a tutti i gazebini.