Per comprendere questo intreccio mi limiterò qui a citare una postilla che Bach ha apposto al proprio esemplare della Bibbia di Lutero in margine a II Corinzi 13 (la consacrazione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Salomone), in cui il musicista afferma che “in una musica devota Dio è sempre presente con la sua grazia”. Si tratta, appunto, di prendere sul serio questa affermazione nel contesto della teologia luterana del Seicento, che sviluppa a sua volta la considerazione di Lutero stesso per la musica: lo spiritualis adventus per gratiam di Dio di cui parla il Riformatore nei suoi Dictata super Salterium non si realizza soltanto nella Parola e nel Sacramento, ma anche nella musica sacra, che della Parola costituisce la presentazione nell’immediatezza dell’amplificazione estetica secondo lo stretto legame (tipico della concezione barocca) che unisce retorica e musica in quanto strumenti di rappresentazione e mozione degli affetti. Ecco allora che Bach, con un’iperbole che la più recente musicologia ha giustamente riproporzionato, ma non ha potuto smentire del tutto, è stato addirittura definito come “quinto Evangelista” e una delle branche più floride degli studi bachiani recenti è la Bachtheologie, ovvero la ricerca dell’interazione in Bach tra musica e testo all’interno dell’orizzonte teologico della tradizione luterana.
Più modestamente cerchiamo di vedere insieme la struttura musicale delle cantate bachiane, attraverso alcuni esempi, e di coglierne il rapporto col testo di cui esse sono illustrazione.
Qualche rapido cenno sulla struttura della cantata. Questa forma musicale, come la maggior parte di quelle vocali e strumentali dell’età moderna, è di origine italiana, ed è legata allo stesso contesto musicale e culturale da cui è nata l’opera, di cui in un certo senso costituisce la “sorella minore”, per le proporzioni e la mancanza di azione scenica. Il contesto però è il medesimo: l’affermarsi della monodia (il canto su una sola linea melodica) e della voce solista, l’irruzione degli strumenti nell’accompagnamento delle voci, al fine di potenziare (con un effetto “concertante”) l’effetto drammatico di cui, appunto l’opera è la massima espressione. La cantata accoglie le strutture formali di base dell’opera, vale a dire il recitativo e l’aria, ma le ambienta in una dimensione non più drammatica, bensì lirica: nella successione di recitativi e di arie di cui consta, la cantata esprime il mondo degli affetti, spesso in una cornice mitologica o pastorale, secondo le convenzioni letterarie del barocco. E’ questa, semplificando, la forma della cantata italiana per eccellenza, la “cantata profana da camera”.
E in Germania? Il modello italiano stentò a prendere piede fino agli inizi del Settecento, per la mancanza delle condizioni idonee al suo sviluppo: testi adeguati, cantanti preparati e infine un pubblico capace di comprendere e di gustare questa forma musicale. Diversa fu la sorte della “cantata sacra”, anche se questo nome fu imposto dalla musicologia posteriore, in età romantica. Dalla metà del Seicento si affermò il “concerto spirituale” (di cui l’espressione più alta fu fornita da Heinrich Schütz) , secondo una combinazione di passi biblici , di corali e di odi sacre che diede vita ad una tipologia assai varia: intorno agli inizi del Settecento (quando comincia la produzione bachiana) abbiamo la Biblische Kantate, che utilizza esclusivamente il testo biblico, oppure la Choralkantate, che invece è basata sull’alternanza di corali (i canti della comunità ecclesiale, vari per forma: dalla polifonia del mottetto alla più semplice forma monodica distribuita nelle quattro voci di soprano, contralto, tenore, basso), o ancora la Odenkantate, in cui il modello dell’antica cantata solistica italiana viene adattato al Lied o canzone sacra tedesca, in cui tutte le strofe vengono musicate. Un evento decisivo, nella strutturazione della cantata, fu rappresentato dall’entrata in scena, agli inizi del Settecento, dei testi del pastore Erdmann Neumeister (1671-1756), il quale dapprima accolse in ambito sacro la forma della cantata profana italiana e successivamente la combinò con i versetti biblici e i corali, secondo un modello che influenzò profondamente la produzione letteraria e musicale del tardo barocco, da Telemann allo stesso Bach.
Siamo così giunti a parlare delle cantate sacre e profane di Bach: un corpus di circa 220 cantate (il numero oscilla considerando anche quelle apocrife) che si estende dal periodo di Mühlhausen e gli inizi dell’attività a Weimar (dal 1707 al 1710) fino ai grandi cicli liturgici di Lipsia, concentrati tra il 1723 e il 1729. Non è tanto la quantità a richiamare l’attenzione (ci furono autori molto più prolifici di lui: basti considerare Telemann con le sue oltre 1800 cantate!), quanto piuttosto la qualità e la varietà delle soluzioni formali.
Non è senza un timore reverenziale che mi avvicino ad un corpus cos' imponente e meraviglioso. Non potendo commentare, anche per i miei modesti mezzi, tutte le cantate, mi soffermo su una sola, la BWV 106, detta anche "Actus Tragicus"
Incominciamo questo ascolto guidato con una delle più celebri cantate di Bach, BWV 106, intitolata "Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit" (Il tempo di Dio è il tempo migliore), detta anche, comunemente, “Actus tragicus”: composta con grande probabilità nel 1707 a Mühlhausen in Turingia (dove Bach era stato assunto come organista nella chiesa di S. Biagio), secondo la tradizione per la cerimonia funebre dello zio Tobias Lämmerhirt , è uno splendido documento della prima fase, giovanile, delle cantate sacre di Bach. Come tipo appartiene al modello più antico, precedente la riforma di Neumeister: è costituito da un’alternanza di passi biblici e di corali e accuratamente disposto in forma simmetrica attorno ad un centro, e cioè la sezione 2d (Coro e Arioso), per la sua rilevanza teologica. Infatti in questa sezione s’incontrano e si sovrappongono in una sorta di chiasmo le due parti della cantata: la prima, costituita dalla meditazione sulla morte come minaccia incombente sull’uomo peccatore; la seconda incentrata sul messaggio gioioso della vittoria sulla morte grazie alla redenzione di Cristo. In due versetti queste due opposte prospettive, quelle della Legge e del Vangelo, vengono concentrate: “Es ist der alte Bund: Mensch, du musst sterben!” (dal Siracide o Ecclesiastico) e, subito dopo, in opposizione, “Ja, komm, Herr Jesu, komm!” (il maranatha con cui si conclude il libro dell’Apocalisse).
La struttura simmetrica appare evidente se si considera che attorno a questo “nucleo forte” teologico Bach ha disposto specularmente due brani per voce solista (per tenore e basso nella prima parte: 2b e 2c; per contralto e per basso nella seconda parte: 3a e 3b), a loro volta incorniciati da due sezioni corali: “Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit” per la prima parte (2a); per la seconda “Glorie, Lob und Herrlichkeit” (4). Infine al portale d’ingresso costituito dalla “Sonatina” strumentale corrisponde nel finale una fuga che conclude il coro e così l’intera cantata.
L’ascolto inizia con il preludio strumentale, un brano in cui i due flauti a becco, per lo più all’unisono, sviluppano la loro melodia su uno sfondo opaco, costituito dalle viole da gamba e dal basso continuo (attualmente viola da gamba o vello, violone o contrabbasso): si crea così un clima di raccoglimento, di preparazione all’intensa meditazione sulla morte affidata poi, nelle sezioni successive, alla voce umana.
Il link che inserisco è relativo a tutta la cantata, per cui fate riferimento a questo (tra l'altro c'è un giovanissimo Tom Koopman all'organo):
La seconda sezione, piuttosto complessa, è articolata in quattro episodi. Dal punto di vista testuale è una raccolta di citazioni provenienti da fonti diverse, liberamente connessi da alcuni passaggi, e disposta in modo da illuminare i due volti della morte secondo la prospettiva già accennata del contrasto tra la Legge e il Vangelo: la morte come condanna conseguente al peccato e la morte come passaggio alla vita eterna offerta dalla redenzione di Cristo.
Il primo episodio è rappresentato, sul piano testuale, da riflessioni sul fiducioso abbandono del nostro tempo alla volontà divina che racchiudono una citazione del discorso di San Paolo all’Aeropago di Atene, che a sua volta si ispira al poeta greco Epimenide del VI sec. a. C. (“In Ihm leben, weben und sind wir”). Sul piano musicale questa parte è affidata ad un coro che ha la forma di un mottetto tripartito: ad un attacco omofonico sulle parole “Gottes Zeit” (iterato per esprimere la priorità del disegno divino) segue una parte centrale costituita da un allegro fugato, che esprime il movimento a volte gioioso, a volte affannoso della vita, mentre il finale è costituito da una sezione di nuovo omofonica in tempo lento (adagio assai), che sottolinea la tristezza della morte ma anche la rassegnazione cristiana (“In Ihm sterben wir zur rechten Zeit, wenn er will”).
Il secondo episodio è costituito da un Arioso in forma di ciaccona, affidato ad un tenore solista (qui il tenore, nel senso antico del termine, non è la voce maschile più acuta, ma corrisponde all’odierno baritono) che ha il compito di commentare una preghiera del Salmo 90 (89), 12 (“Ach, Herr, lehre uns bedenken, dass wir sterben müssen, auf dass wir klug werden”): una melodia malinconica guidata dai flauti sullo sfondo più grave delle viole e del basso continuo, in cui s’inseriscono le frequenti iterazioni della voce per accentuare il carattere accorato della supplica.
Un vivo contrasto con il secondo episodio è costituito dal terzo, in cui il basso solista (accompagnato solo dai flauti e dal basso continuo) con ritmo incalzante dipinge l’esortazione divina a rendere conto della propria vita nell’imminenza della morte (“Bestelle dein Haus! Denn Du wirst sterben und nicht lebendig bleiben”). L’episodio citato si riferisce all’annuncio dato al re di Giuda Ezechia della sua morte imminente, che poi Dio annullerà in considerazione dei meriti del re). E tuttavia questo terzo episodio si salda senza soluzione di continuità col secondo. Perché? Bach ha voluto rappresentarci con i mezzi della musica come il carattere mortale della condizione umana esposto nel secondo episodio non è qualcosa di lontano dalla vita concreta di ciascuno di noi – per così dire una sentenza generale che riguarderebbe piuttosto gli altri, come il naturale desiderio di vita che nutriamo ama raffigurarsi – ma ci tocca all’improvviso, inaspettatamente, in prima persona.
Infine il quarto e ultimo episodio della seconda sezione, cui abbiamo già accennato per la sua funzione centrale nell’intera cantata (“Es ist der alte Bund: Mensch, du musst sterben! Ja, komm, Herr Jesu, komm!”). Ora come realizza Bach sul piano musicale il contenuto teologico centrale della teologia della croce luterana? Attraverso una combinazione, nella forma antica del mottetto polifonico, di tre elementi che si sovrappongono in una complessa costruzione che assomiglia ad una costruzione gotica o anche barocca: 1) dapprima l’entrata progressiva in forma di fuga delle tre voci più gravi (basso, tenore, contralto) sulla frase “Es ist der alte Bund: Mensch, du musst sterben!”; 2) dopo il terzo sviluppo entra, finalmente, la risposta alla voce più alta (soprano): “Ja komm, Herr Jesu, komm!”, inizialmente accompagnata solo dal basso continuo, poi 3) commentata dall’entrata degli altri strumenti che intonano la melodia del corale di Johann Leon “Ich hab’ mein Sach’ Gott heimgestellt”. Dopo questa presentazione ritorna per altre tre volte la sequenza sopra descritta (fuga, soprano, corale), ma con entrate sempre più strette delle voci che quasi si sovrappongono, a simboleggiare la lotta dell’agonia tra il timore della morte e la speranza dell’anima; questo denso episodio si conclude con l’appassionata invocazione del nome di Gesù, che resta da solo ad occupare la scena e la meditazione dell’ascoltatore. Prima di passare all’ascolto vorrei sottolineare un’ultima finezza della tessitura bachiana, sempre attenta a tradurre in valori musicali il contenuto teologico del testo: nel corso dell’iterazione il tema della fuga, che esprime il sentimento della morte come condanna, a poco a poco si trasforma e si avvicina a quello del soprano. Bach cioè vuole farci percepire con l’immediatezza della rappresentazione sonora come la morte, nella prospettiva cristiana, perda il suo aspetto terribile e divenga passaggio verso la comunione beata con Dio.
La terza sezione, dopo il culmine dell’episodio appena visto, è costituita a sua volta da due episodi simmetrici (com’è stato osservato all’inizio) a quelli della prima parte della cantata: in primo luogo abbiamo un’Aria affidata al contralto, accompagnato soltanto dal basso continuo, in cui il credente esprime l’abbandono fiducioso dell’anima a Dio con le stesse parole del Salmo 31, 6 che Gesù rivolge al Padre nell’ora suprema della morte: “In deine Hände befehl ich meinen Geist”. E’ un’Aria pervasa da semplicità, su un ritmo, ancora una volta, di ciaccona.
Il secondo episodio della terza sezione si riallaccia direttamente al primo con un Arioso del basso che esprime la promessa di Gesù sulla croce al buon ladrone: “Heute wirst du mit mir in Paradies sein”. La esprime con una figurazione di basso ostinato che accompagna la melodia, in cui l’accento è posto sull’immediata realizzazione della promessa (“Heute”) e sul suo contenuto beatifico (“Paradies”), mentre il rincorrersi tra la voce e il basso continuo (che tecnicamente si chiama “imitazione”) raffigura col simbolismo sonoro l’imitazione di Cristo da parte del fedele. Mentre ancora il basso continua con le sue figurazioni entra la voce del contralto, intonando uno dei Lieder più popolari di Lutero, “Mit Fried’ und Freud’ fahr ich dahin”. E’ la risposta del cristiano alla promessa del Maestro, che s’intreccia come cantus firmus (secondo il procedimento già ascoltato della polifonia politestuale) con il canto del basso, in un duetto pieno di pace e di dolcezza in cui domina l’evocazione del paradiso. Significativamente la parte finale del brano è affidata al solo contralto: la morte diventa, in questo assottigliarsi del suono, placido sonno.
La quarta ed ultima sezione della cantata risponde, simmetricamente, all’apertura costituita dalla Sonatina: in questo caso un breve preludio strumentale introduce un semplice corale omofono (la settima strofa del Lied di Adam Reusner “In dich hab ich gehoffet, Herr”) in cui i flauti, con effetto d’eco, alla fine di ogni versetto ripetono con ornamenti la melodia. L’ultimo verso però, e così la cantata, termina nel nome di Gesù Cristo con una fuga che simboleggia l’esultanza per la morte sconfitta.
E' bene ricordarsi che la musica ed il contenuto religioso nelle cantate sacre di Bach DEVONO necessariamente essere visti come un tutto unico.
Buoni ascolti ed approfondimenti
Ultima modifica di gciraso il Mer Dic 18 2013, 12:56 - modificato 1 volta.