In memoria di Lewis Allan Reed (New York, 2 marzo 1942 – Long Island, 27 ottobre 2013)
Tarda notte in una qualsiasi via periferica di una grande citta'.Una pioggerellina fina cade incessantemente rendendo piu' vividi i colori del degrado urbano; un barbone e' seduto su se stesso e sotto il suo malsano vivere, una puttana vestita di pelle dozzinale promette effimeri voli verso una felicita' che neppure lei sa cosa sia; orina stagnante negli interstizi delle pietre di un anonimo marciapiede; bidoni di spazzatura stracolmi di vita gettata via e una siringa abbandonata a se, incastrata fra le sbarre di una fognatura ha appena svolto il suo primario compito in una dose di vita in meno......un bisbiglio di voci lontane e vicine si sovrastano continuamente fondendosi in un unico straniero brusio; una rantolante insegna al neon illumina con spietata artificiale crudelta' tutto il male di vivere imperante......Sensazione malsana che ti attanaglia la mente, depressione latente, voglia di lasciarsi sopraffare alla corrente di una speranza defunta, percorrendo anfratti e labirinti di gelida metropolitaneita' che come grandi canyon di cemento piombano e vigilano su te stesso.L'incubo ordinario e quotidiano ha preso forma e ha delineato lineamenti ben precisi sottoforma di una nuova dimensione musicale.Tutto questo e molto, molto di piu' sono i VELVET UNDERGROUND.Anno 1966: i Velvet Underground hanno da poco ultimato il loro disco di esordio; il loro Mentore e' un artista bizzaro e lunare rispondente al nome di ANDY WARHOL.
La FACTORY e' la casa madre dove i sogni prendono forma e la dissonanza emette i primi selvaggi e ruspanti vagiti.LOU REED, STERLING MORRISON, MAUREEN "MOE" TUCKER, e JOHN CALE, sono i cherichetti che celebrano il piu' sconvolgente rito che il Rock abbia mai udito.Il Velluto Sottoterra e' un grezzo diamante, spigoloso e ruvido, a tratti pure pericoloso, non modellabile, e soprattutto e' una pietra dotata di brillantezza selvaggia ove e' assente qualsiasi forma di compromesso. Musicalmente i Velvet Underground, sono una strana "accozzaglia" di giovani musicisti ex studenti universitari in cui fanno confluire e fondere insieme un sano Rock'n'Roll e una corrente colta di avanguardismo europeo.Tutti i piu' grandi musicisti che il Rock abbia salutato, hanno avuto una ben precisa fonte d'ispirazione da dover partire o ripartire verso un proprio personale cammino musicale, i VU no!I VU dal niente presero vita, e dal niente crearono un suono mai udito prima, un suono puro con una Viola Elettrica, una chitarra in piena distorsione con il volume sempre al massimo, un elementare e singolare Tam Tam, e una seconda chitarra che offriva sostegno e complicita' alla prima, e al tempo stesso come un bisturi, creava una trama profonda in quel corpo musicale.Era una musica oscura e primitiva, profondamente influente per intere generazioni a venire, e al contempo era una musica in cui si identificava una frangia generazionale piu' estrema ed estranea di quella solare West Coastiana. Giovani disadattati, perdenti recidivi nella loro piu' acuta perdizione morale e non, avevano ottenuto attraverso i suoni del Velluto la loro personale rivincita contro tutti e tutti e soprattutto verso se stessi.
Attraverso questi suoni, si raffigurava il nichilismo piu' aristocratico, i testi poi, raccontavano di amori sadomaso, spacciatori, donne pericolose e ancor piu' pericoloso innamorarsene, e raggiungimento di sensazione divine al semplice contatto di un ago ad una vena........Insomma il mondo Velvettiano era un mondo popolato da tutte le piu' recondite paure di cui tutti noi ce ne vergogniamo, o perlomeno tentiamo di nascondere........i Velvet tutte queste piccole grandi cose le cantavano in faccia, anzi, le urlavano al mondo intero.Si badi bene, che negli stessi giorni, in una altra costa e in un altro mondo (quasi involontariamente a testimoniare tanta diversita') si inneggiavano canti celebranti buone vibrazioni, all'insegna della piu' utopistica stagione del sesso, inteso come amore universale ed aggregante.Beh........si puo' ben dire che i VU erano anni luce lontani da certe stratificazioni Californiane, in tutto e per tutto; i Jefferson Airplane cantavano quello che vorremmo essere o aspirare, i VU urlavano quello che semplicemente siamo, senza veli inibitori.........forse e' anche questo uno dei molteplici motivi, che il suono dei Velvet e' ancora cosi' attuale e fresco, mentre certe sonorita' solari sono il testamento di un periodo che non esiste piu'.Dalla musica dei VU hanno attinto a piene mani futuri rockers, il Punk e' figlio diretto di I'm waiting for the man, e la New Wave riverbera tutt'ora in certe atmosfere pregne di Venus in Furs. Tecnicamente non sono mai stati dei maestri dello strumento, nel piu' preciso senso virtuosistico, il sacro fuoco che alimentava la loro espressione era quello di creare "un qualcosa" di alternativo, che andasse nella direzione opposta a tutto cio' che fino ad allora era stato proposto, e proprio per questo come dicevo prima, la loro musica non ha padri, ma altresi' moltissimi figli.
VELVET UNDERGROUND sara' il loro terzo lavoro, e finalmente il loro primo disco veramente prodotto, un disco questo, dove il gruppo dara' una brusca sterzata a quelle loro iniziali malsane sonorita', con opere contraddistinte da minor ruvidita', e forse piu' dolcezza apparente in brani di forte impatto emotivo come Pale Blue Eyes, Jesus, Beginning to see the light, e tante altre.
SUNDAY MORNING (2.54): il disco in questione e' stato prodotto da Andy Warhol, ma in realta' Warhol non capendo niente di tecniche di registrazione fu "usato" come lasciapassare per una piu' libera forma di espressione compositiva da parte del gruppo, ma al tempo stesso il disco medesimo non beneficio' di nessun "ingentilimento" sonoro.Questo brano e' l'unico ad aver ricevuto un adeguata produzione (e si sente) con sovraincisioni atte ad offrire un suono meno spartano.Suoni di carillon, un accompagnamento ritmico rilassato, un suono ovattato conferiscono alla canzone un ottimo viatico per una fugace apparizione a 45 giri.
I'M WAITING FOR THE MAN (4.37): autentica pietra miliare di un apocalittico rock.Un suono ruvido, tutto in battere, sono fonte imprescindibile e rivoluzionaria di un nuovo concepimento musicale. Il ritmo e' sempre monocorde, e con fare volutamente ripetitivo Lou Reed ci accompagna verso un immaginario metropolitano popolato da strani e ambigui "animali" molte volte inquietanti. E' un autentica discesa agli inferi, fatta con disarmante semplicita' e allo stesso tempo con matura padronanza compositiva, il Rock di Detriot, non avrebbe avuto nascita senza questa canzone. Epocale.
FEMME FATALE (2.37): altra ballata ancora affidata alla sensuale voce di Nico. Un brano questo, molto retro' che trasuda grossi quantitativi di malinconia in quel cantato intriso di apparante infinita solitudine. A volte i Velvet si dilettavano a mostrare il loro lato gentile con canzoni "Fatali", ed inoltre e' significativo ricordare come a 35 anni dall'uscita del disco di come i VU fossero maestri nel mascherare innocenti canzoni con testi pericolosi, o perlomeno spietati, come dimostrano canzoni come questa.
VENUS IN FURS (5.10): capolavoro assoluto dell'intero lavoro. Brano senza tempo, dove John Cale con la sua Viola Elettrificata dipinge scenari infernali con una melodia ruotante su se stessa, ripetendo infinitamente la sua particolare "nenia" per tutta la durata della canzone, e conferendo a tutto l'insieme un marchio di felice coesione fra un certo rock di stampo metropolitano ed un avanguardismo colto. Echi di psichedelica apatia creano quel senso di degrado morale in cui stagna in modo regale l'intera opera; Lou Reed scandisce pacatamente i versi sinistri e riesce a fare il tutto con un recitato in perfetta sincronia con il primordiale tambureggiare di Moe Tucker.L'assenza di produzione e' un punto di forza per Venus in Furs, in quanto la melodia risplende di selvaggia e incontaminata bellezza, e l'inquietudine di fondo e' intrisa di perversa poesia.
RUN RUN RUN (4.20): e' l'approccio meno folle dell'intero disco, esercizio melodico in chiave Beat, dove Lou Reed si riscopre cantore liceale, supportato da una vivace ritmica, e un solismo dissonante nella parte centrale, fanno di questa canzone un lavoro a meta' strada fra atmosfere disincantate e uno sperimentalismo talvolta solo abbozzato.
ALL TOMORROW PARTIES (5.58): altra perla lucentissima, con una splendida apertura psichedelica alternata a unghite rumoristiche; il ritmo anche qui e' surrealmente cadenzato, dove sovrana regna l'enfatica interpretazione di Nico. Come in molte altre canzoni dei VU, pure anche questa risplende ancor di piu' dopo ripetuti ascolti grazie ai quali emergono sfumature che esistono sottotraccia, caratteristica questa che dona a tutto il suono quella peculiare sensazione di freschezza senza eta'.
HEROIN (7.10): arpeggio introduttivo pregnante di inquieta e tesa paranoia, le percussioni emettono suoni funerei, il ritmo si fa' piu' incalzante e una viola mugola in sottofondo, i testi parlano di estasi effimere e sensazioni divine causate da un sottile veleno iniettato nelle vene. Heroin e' spiritualismo urbano, poetismo di agghiacciante attualita', rivistazione di un male di vivere in tutta la sua piu' drammatica lucidita'. Autentico manifesto adolescienziale dove il suono si eleva maestoso e si trasfigura in immagini sgranate in bianco e nero, colori di un crudo lirismo covante nei meandri piu' bui e nascosti della disperazione umana. Da usarsi come trattato di autentica letteratura moderna.
THERE SHE GOES AGAIN (2.38): lo scenario si fa' piu' sereno, con un Lou Reed piu' "umano", i coretti ripetono il ritornello con fare spensierato, e bruschi stop alternati ad improvvise ripartenze potrebbero far proseguire infinitamente la canzone nella sua durata.
I'LL BE YOUR MIRROR (2.12): un arpeggio melodico crea un tappeto docile ad una serena ballata dalle tonalita' piu' sfumate; uno "specchio" questo riflettente la bellezza statuaria di Nico, musa isparatrice e contrapposizione artistica alle crudezze di base dei Velvet Underground, ed efficace connubio fra selvaggio espressionismo americano e dolce introspezione europea.
THE BLACK ANGEL'S DEATH SONG (3.12): canzone infernale che creo' al tempo non pochi problemi nella sua esecuzione concertistica, proprio per un suono angosciante ed un testo ancora di piu'.E' suono dissonante che nella sua piu' assoluta dissonanza si fa' portavoce di un "armonioso" rumorismo in tutta la sua piu' perversa natura. La viola partorisce graffi che scavano in profondita' nell'animo umano, facendo solchi in cui a proprio agio si muove Reed con quel suo cantato/recitato vomitante rabbia e spirito luciferino.
EUROPEAN SON (7.46): un baldanzoso intro chitarristico ci introduce in un universo sonoro che si frantuma in pezzi di vetro, il ritmo si fa forsennato e il feedback si insinua subdolamente fra le viscere della musica rimanendo sempre in agguato. La melodia e' un abisso surreale, le percussioni come battiti cardiaci si fanno piu' palpitanti quasi angosciati da tanto sinistro sperimentalismo. Le regole sono utopia, il paesaggio e' una pianura musicale estesa dove il sole e' morto, ed il tutto brilla nel suo piu' totale grigiore di degrado spirituale. Il regno del caos alberga qui, ma e' un regno creato splendidamente nella sua piu' sregolata liberta' espressiva senza tempo.
buoni ascolti,
liz