Commento quanto detto da Massimo e a Pluto sulle
BohemeL'edizione DEcca/Karajan/Berliner è giustamente famosa. Come tutte le interpretazioni che segnano una distanza dalle interpretazioni tradizionali è tanto amata quanto malvista. IO, in linea generale, credo che il nuovo, a meno che non stravolga l'essenza stessa della musica ch epropono, è sempre preferibile a letture di routine. Ma la questione non è questa.
Negli anni '60-'70, quando nasce e cresce la Boheme di Karajan in tanti spettacoli in Italia e all'estero, c'è stato in opera da un lato il rigore neoclassico di De Sabata (che ha distrutto la vocalità italiana basata sulla dinamica e sulle sfumature del canto) e la tradizione italiana (i Votto, i Serafin) che da un lato si rifanno all atradizione, da un lato sono soprattutto ottimi accompagnatori di cantanti, ma il cui repertorio d'elezione è soprattutto quello verista, rispetto cui il mondo pucciniano è in parte difforme.
In questo contesto, Karajan forma la sua boheme, secondo questi "canoni":
1. Suono orchestrale sinfonico: Puccini non più come compositore verista/naturalista italiano ma come musicista europeo al pari di Strauss, Mahler, ecc. ecc. Certo, quando arriviamo al Walzer di MUsetta del secondo atto siamo in piena clima viennese, Strauss è alle porte, il valzer diventa lentissimo, ma che capolavoro di gioco dinamico, che meraviglia di equilibrio tra le voci, che meraviglia di risalto dato ai contributi di ciascuno.
2. Ripristino del canto all'italiana sfumato, lento , ricco di colori, vario.
3. Nessuna violenza esercitata sui cantanti che non vengono mai coperti dall'orchestra e che anzi da questa vengono costantemente sostenuti.
4. Riverbero timbrico tra i colori dell'orchestra e le voci dei cantanti (basta sentire il duetto di Rodolfo e MImì nel primo atto per sentire come i violini riecheggiano l'irruenza e la solarità della voce di Pavarotti e la dolcezza e la luminosità della voce della Freni).
5. Clima giocoso, bohemienne, che da un attimo all'altro, in poche battute, si cambia in duetto d'amore (primo atto) o scena di morte (quarto atto). SCena di morte splendida, in cui tutti i personaggi si muovono in punta di piedi intorno ad una povera moribonda, ed il patetico si fa col silenzio, non con lo schiamazzo.
Su questa linea interpretativa si è aperta una nuova tradizione esecutiva che vede tra i suoi rappresentanti Sinopoli e Bickhov (mi sa che lo scrivo male, scusate la grafia) tra gli altri.
E come dice Massimo straordinaria registrazione Decca, che riesce a tenere sotto controllo la straripante dinamica orchestrale che Karajan ottiene dai Berliner.
E poi i cantanti: una Freni che suona con acuti raggianti ed una enorme femminilità, un Pavarotti splendido pur con qualche macchiolina (a voler fare inutilmente i pignoli) ma indissolubilmente il miglior Rodolfo del secolo per giovinezza timbrica, abbandono lirico, gradasserie da giovane artista. UNa Harwood incentevole e grande maestra di suoni rarefatti e timbri preziosi. Un tonante Ghiaurov, un duttilissimo Panerai. Una incisione non bella, straordinaria difronte a cui la quasi totalità delle altre ha un aspetto o frigido, o tradizionale, o schematico, o più povero.
Edizione '56 Callas, Di Stefano, Moffo, Panerai, Votto? Buona, per carità, ma come l'ottimo accompagnatore Votto si possa paragonare a Karajan ed a i suoi Berliner proprio non saprei. Buona direzione, e tradizionale, ma nella storia dell'opera nulla dice di nuovo. Come nulla dice di nuovo Di Stefano, sempre a suo agio nel verismo, ma oggi come oggi troppo poggiato sull'accento e l'irruenza e poco sulla varietà di un personaggio che pure gli appartiene. Anche la Callas è la maestra di accento che sappiamo, e dal punto di vista del fraseggio quasi nessuna può starle a pari. Manca però del fisico vocale della parte, che la sua voce "mezzo fagotto" non ha proprio il fisico giovanile della giovane povera Mimì. E la pur buona Moffo guarda molto da lontano in questa opera la Harwood. Si tratta di una buona edizione, molto buona, ma che non regge e storicamente ed artisticamente il confronto con l'altra.
Ancora su un livello meno entusiasmante le edizioni con la Tebaldi per Decca, dove l'operato della grande cantante italiana è sempre pregevole, ma in una si trova diretta dallo spicciativo Erede e con affianco il nulla, e nell'altra si trova affianco l'ottimo Bergonzi (ma veramente troppo "verdiano", alto ottocento per questi ruoli pucciniani, pur cantando molto bene) ed il discreto Serafin, ma con un esito che complessivamente non vale né l'edizione Karajan/Berliner né quella Votto/Callas.
Tutto questo, ovviamente, a mio umile parere.