piroGallo ha scritto:
Sono assolutamente del partito n. 1
Queste stravaganze mi lasciano sempre piuttosto infastidito anche se ovviamente bisogna conoscere prima di giudicare e io non conosco Brendel (e poco in generale delle prassi esecutive).
Posso solo dire che apprezzo molto Bach al piano (il primo Bach che ho sentito al piano è stato quello di Schiff).
Il problema, è che per Mozart, così come per tutti gli autori precedenti,e tantopiù quanto indietreggiamo nel tempo, lo spartito è una sorta di canovaccio da interpretare sulla base delle conoscenze che all'epoca si riteneva -giustamente- in possesso di tutti i musicisti. Quindi contiene, man mano che indietreggiamo nel tempo, sempre meno informazioni e va sempre più integrato con l'intervento dell'interprete. Questo intervento non è una stranezza, quindi, bensì un indispensabile apporto senza cui quella musica non ha senso.
All'epoca di Corelli, ad esempio, era di prassi inserire delle diminuzioni (variazioni con durata delle note inferiore rispetto al testo scritto) in tutte le partiture per violino. Corelli quando scrive e pubblica l'opera V non le inserisce nello spartito. Ma non perché non le volesse. E' solo che all'epoca esistevano due pubblicazioni per gli spartiti di musica: quelle contenenti le diminuzioni, già scritte e di media difficoltà, che si rivolgevano al pubblico dei dilettanti, incapaci di scrivere le diminuzioni da soli. Oppure esistevano le pubblicazioni per ottimi musicisti, che non contenevano mai le diminuzioni, giacché nessun ottimo musicista avrebbe avuto bisogno che qualcun altro (autore compreso dell'opera) le scrivesse per lui. Quindi l'opera V non contiene diminuzioni perché quando andò in stampa si rivolgeva ai grandi musicisti e quindi non riteneva di dover riportare ciò che per prassi qualunque musicista sarebbe stato in grado di scrivere, anche sulla base delle proprie peculiarità tecniche.
Chi oggi esegue l'opera V di Corelli senza diminuire, quindi, non è uno che rispetta religiosamente il testo, bensì uno che non ha nessuna idea inerente il senso che quel testo aveva alla sua epoca e quindi lo interpreta in realtà da analfabeta.
Gatti, ad esempio, rispetta con fantasia gli obblighi delle diminuzioni:
In uno spartito di Richard Strauss c'è tutto, in uno spartito di Cavalli molto meno, a volte molto poco invero, nemmeno l'orchetsrazione, solo basso continuo e linea vocale, ed il resto deve introdurlo l'interprete. Altro che eccentricità: molta musica è andata dimenticata proprio perché si sono perse le competenze per tirarla fuori dallo spartito completandola con le dovute interpolazioni.
Haendel prevede, nelle opere, introduzione di variazioni ogni volta che si presenta un ritornello. Con la filosofia di "eseguire solo ciò che c'è nel testo", tutte le arie di Haendel diventavano, negli anni '50 del novecento, una sequela interminabile di ripetizioni inutili della solita sezione musicale e vocale. Di conseguenza venivano tagliate e ridotte a meri ariosi di pochi minuti. Ma non è che questo valorizzasse il testo, solo perché era pedissequamente incollato allo stesso: al contrario, rendeva l'operismo di Haendel ineseguibile ed ingodibile. Oggi Haendel è ritornato al gradimento, in teatro, di un tempo (oggi fuori dall'Italia è paraginabile come fama ai grandi musicisti dell'ottocento operistico) ma solo grazie al fatto che le arie sono tornate ad essere quello sfoggio di varietà e bravura, oltreché espressione, permesso dall'introduzione, in ogni ripetizione all'interno del testo, di variazioni ad opera degli interpreti. Ma quelle variazioni non sono scritte nei testi ovviamente: era normale che fossero i musicisti ad inserirle, i cantanti, non c'era bisogno di scrivere o prescrivere nulla, era la normale prassi del settecento. Ma gli esempi potrebbero essere infiniti, io preferisco fermarmi qui.
Senza interpolazioni dell'interprete, la musica antica perde ogni senso. Non è un caso che molta musica antica fosse scomparsa dai repertori durante l'epoca della fedeltà (cieca ed ottusa) al testo. Non facciamo del testo un feticcio. La musica, soprattutto quella antica, va rispettata (soprattutto mediante l'applicazione di sani principi di buon gusto) ma non trattata come una reliquia priva di vita.
PS: è uscita una edizione delle Goldberg al piano eseguite dal gradissimo Sokolov (uno dei maggiori pianisti viventi). Non l'ho ancora ascoltata, ma sono in fase di acquisto: